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lunedì 12 agosto 2013

Quali bugie ci raccontano sulle tasse?

E' possibile avere un'altra fiscalità e un altro livello di tassazione?
Si è possibile.

Lasciamo perdere chi, nello spazio pubblico dell'agorà politica, si spaccia per politico o rappresentante del popolo.
Lasciamo perdere le castonerie che taluni dicono e le inesattezze di parte che altri portano avanti.

Una tassazione più equa non solo è possibile ma è assolutamente necessaria.
Stiamo preparando del materiale per illustrare (prossimamente) quali sono le proposte di questo blog per una migliore, più equa e più sostenibile tassazione.
Scopo? Portare il peso delle tasse sul PIL dal 54% attuale (ma secondo alcuni parametri di calcolo anche il 65%) ad un ottimale 30/33% di peso delle tasse sul PIL.
Dalla metà ad un terzo. Quindi quello che rimane a famiglie, imprese e cittadini non è meno della metà ma più di 2/3.


Cominciamo oggi con l'illustrazione alcune bugie sulla tassazione:

a) Non si possono abbassare le tasse perchè si taglierebbero i servizi al cittadino.
b) Le tasse sul reddito sono la cosa equa. Chi guadagna di più deve pagare di più.
c) L'Italia non può diminuire le tasse perchè altrimenti i mercati esteri la punirebbero.
d) Le tasse sono così alte perchè nel nostro paese in molti evadono il fisco e non pagano quanto dovuto.

Esaminiamo queste prime 4 bugie una per una.

a) Non si possono abbassare le tasse perchè si taglierebbero i servizi al cittadino.
I servizi del cittadino è qualcosa che viene prodotto dalla collettività per la collettività. Il principio cardine di qualunque società è che niente possa essere consumato o utilizzato senza che a monte non ci sia stata della creazione. Ovvero prima si produce qualcosa e poi avviene il consumo di questa produzione. Se nessuno coltiva l'orto, non ci saranno i pomodori o le patate da consumare. Giusto?
I servizi che uno stato offre ai suoi cittadini sono realizzati da strutture organizzate. Così come un'impresa vende i suoi prodotti dopo averli "realizzati", così un ente pubblico, pubblica amministrazione o quant'altro deve realizzare i propri prodotti (in questo caso servizi!).
Non si è mai sentito che qualcuno (un impresa privata) non produce perchè non ha i fondi. Se non ha i fondi, significa solo che ha gestito male le sue finanze o che vende prodotti di qualità non accettabile o fa un pessimo marketing e così via. Insomma è un'azienda inefficiente.
Il problema è che troppi enti pubblici forniscono servizi senza scambio. E questo viola il principio base di ogni movimento economico.
Ma questo significa che anche cose come l'assistenza sanitaria devono essere a pagamento? No, non intendiamo questo.
Intendiamo dire che le strutture pubbliche devono essere effficienti. Il problema è che non lo sono. E se una pattuglia della polizia non può uscire perchè il ministero non ha finanziato l'acquisto di carburante, non è perchè non ci sono i soldi delle tasse.
Questa associazione di idee è falsa. Totalmente.
Si potrebbe aumentare il gettito delle tasse e avere problemi di inefficienza.
Viceversa è possibile diminuire il peso fiscale complessivo e mantenere un alto livello di servizi. Si potrebbe addirittura scoprire che correggere i veri motivi di questa inefficienza, si può anche aumentare il livello dei servizi

Al prossimo post per la spiegazione del perchè non è corretto dire che chi guadagna di più deve pagare di più.
Grazie per l'attenzione.

venerdì 9 agosto 2013

Crisi: ma esiste davvero? Noi non ne siamo così sicuri

Onestamente ci piace pensare al fatto che le parole siano strumenti che possiamo controllare e gestire secondo le nostre necessità.
Parlo di noi uomini, noi esseri umani.

Non ci piace l'idea che le parole abbiamo il potere di controllarci, causarci emozioni non corrispondenti alla realtà e che non siano sotto il nostro controllo.

Quando una parola viene usata in modo improprio, reca un pessimo servizio alla comunicazione. Non staremo qui ad elencare le centinaia, migliaia di parole il cui significato è stato distorto al punto che non servono più per il motivo per cui sono state create..... ovvero portare maggiore comprensione.

Così più parli, più leggi, più ascolti e meno capisci.
Assurdo? Però sta funzionando così.

E' da qualche anno che la parola "crisi" ci ha invaso e continua a risuonarci nelle orecchie.
Ma che significa crisi? Tralasciando alcune sfumature di significato che ci porterebbero in territorio troppo filosofico, per crisi la maggior parte delle persone intende un periodo in cui le cose non vanno come dovrebbero ma anzi precipitano verso il basso.
E per crisi economica, un periodo in cui il lavoro sparisce, le fabbriche e i negozi chiudono, gli operai e impiegati vengono licenziati e le famiglie tagliano le spese perchè non riescono più ad arrivare a fine mese.

Ma la crisi esiste davvero?
Sicuramente in questo momento e con questa domanda 7 persone su 10 cominceranno a pensare male di chi scrive questo articolo. Come minimo. Mentre 2 su 10 rimarranno attoniti a non capire cosa si vuol dire e solo uno dirà "La pensa come me!".

La nostra è una domanda provocatoria per far riflettere.
Nessuno qui sta minimamente insinuando che la scena che ci sta attorno (e ci limitiamo solo agli aspetti economici e finanziari senza neppure sfiorari temi sociali, etici e filosofici) sia ottimanale ma neppure buona.
E' una situazione bel lontana da un livello minimo di accettazione.
Ma la nostra opinione è che la scena è ben lontana dal livello minimo di accettazione così come lo era anche quella di 4/5/6 anni fa e cosi via.
O meglio, adesso stiamo vedendo gli effetti di una scena non ideale di qualche anno fa.

Siamo abituati dall'atteggiamento medico moderno a occuparci di qualcosa solo quando compare il dolore.
Ciò è il modo sbagliato di avvicinarsi ad un problema.
Curare un malato quando la malattia è al suo apice, significa non essersi presi cura del sano dal suo apice di salute, giù giù giù fino al momento peggiore.
La scena ideale non è curato un malato. Quello è l'ultimo atto quando gli altri altri non hanno funzionato.
La scena ideale è far si che un sano rimanga tale.

In un paese, ciò che si deve fare è impedire che l'economia crolli e non prendere provvedimenti per uscire dalla crisi.
Ma all'università e in tv insegnano che esiste il "ciclo economico" che è un concetto di base che ci dice che qualcosa attraversa degli alti e poi dei bassi.
E per quanto sia vero che nella vita non esistono solo le linee rette ma più verosimilmente le tendenze, è anche vero che il concetto per cui occorra accettare come fisiologici questi periodi di "crisi" è gravemente passivo e persino causa dello stesso periodo di crisi.
La crisi non esiste. O meglio è semplcemente inutile e dispersivo parlare di crisi.
Noi di Denaro e Dintorni non consideriamo funzionale questa definizione.
Arriviamo addirittura a pensare che senza il gram TAM TAM che i mass-media hanno fatto di questo concetto mentale collettivo, qualcuno sarebbe passato attraverso questo deserto senza accorgersi di niente.
E lo diciamo perchè tante persone, negli anni passati, non si sono accorti di niente.
Quando c'era tanto di cui accorgersi.

Sicuramente ci sono modelli di organizzazione economica che vanno riformati. Ma non da oggi.
Sicuramente ci sono influenze esterne alle dinamiche di mercato che le stanno alterando e fanno pagare il prezzo del conto ai cittadini. Ma non da oggi.
Sicuramente si stanno insegnando ai giovani ancora più bugie sulla finanza di quelle che hanno già insegnato ai grandi. Ma non da oggi.
Sicuramente c'è bisogno di una vera e propria rivoluzione culturale che inverta i vettori di comprensione del denaro e del lavoro. Ma non da oggi.

Quindi perchè parlare di crisi? Non ha senso. O forse si?
Siamo in crisi, in un periodo di crisi. Ma secondo noi questa affonda le sue radici negli anni '70, si sviluppa embrionalmente negli anni '80, si mette al lavoro negli anni '90, per poi cominciare a manifestare i suoi primi effetti nei primi anni '2000 e i suoi effetti completi a fine decennio. Fino ad oggi.
E forse fino a domani.
Ciò dipende da noi, dalla nostra comprensione delle cause e dei fattori in gioco.
Parlare di crisi è fuorviante per tutti questi motivi.
E' sterile.

Non potremmo esprimere la cosa in un modo più semplice.

Sentir parlare di crisi al bar ma anche nei salotti della TV è disarmante. Parlano di inezie, di dettagli infinitesimali e di cose che neppure c'entrano.
E più che altro si ricoprono con questa coperta che tutto sembra spiegare.
"Eh, c'è proprio crisi!". Noi diremmo che ce l'hai tu una grande crisi. Di identità, di comprensione, di vitalità, di futuro.
Allora si. Allora pensiamo che ci sia la crisi.
Parlare di crisi in un momento in cui l'Uomo su questo pianeta sta producendo e consumando come non mai è economicamente assurdo.
Sicuramente ci sono aree in cui qualcosa funziona peggio degli altri posti.
E sicuramente ci sono grandi disparità di distribuzione di ricchezze.
Ma è tutta una cosa di questi ultimi 3/4 anni?
Sicuri?

Noi mica tanto.....

Grazie per l'attenzione.

lunedì 5 agosto 2013

Vivere in un paese economicamente confuso

Cosa è la confusione?
La confusione è uno stato di mancanza di comprensione di ciò che sta succedendo ma anche la constatazione che tutto si muove al di fuori del nostro controllo.

Il grando di confusione di qualcuno o di un'area è molto legato alle abilità.
Non possiamo dire, infatti, che un movimento X di particelle generi per forza della confusione.
Possiamo infatti immaginare un commesso o un barista che con facilità gestisci moltissime persone allo stesso momento senza per questo andare in confusione.
E' tutto molto legato alle soglie di abilità di chi è presente nella scena.

L'Italia è oggi un paese dove la confusione regna sovrana.
Non è, dal nostro punto di vista, un posto in cui ci sono dei problemi insormontabili. Non in quanto tali. Da un punto di vista tecnico, intendiamo.
Ma sicuramente operare in questo contesto è particolarmente difficile e frustrante.

Un cittadino che voglia fare le cose per bene, è angariato da un sistema di gestione delle cose burocratiche per cui è spesso molto più pericoloso fare le cose quasi-benissimo piuttosto che non farle per niente.
Prova a sbagliare qualche dato in una dichiarazione dei redditi........ E vedrai.

La soluzione di molti è: andiamo via da questa nazione.
Abbiamo pensato di scrivere questo articolo proprio dopo la notizia che un nostro conoscente ha pensato di risolvere la confusione andando via dall'Italia per andare in un paese vicino dove, pare, sia possibile lavorare meglio.
Sicuramente non ci sentiamo di criticare chi fa questa scelta nè di discuterne la bontà nè da un punto di vista lavorativo nè morale.
L'Italia è un paese confuso. Ma lo è anche perchè noi italiani abbiamo contribuito in una certa misura a renderlo tale. L'intero, in una nazione, non è solo la somma dei singoli comportamenti. Non lo è. L'intero è qualcosa di più. Ma dire che i nostri singoli comportamenti hanno contribuito in grande misura a rendere l'Italia quello che l'Italia è, è qualcosa che si avvicina al vero.

Più che altro pensavamo che se qualcuno non ce la fa in Italia e va all'estero, non è detto che lasci in Italia le cause delle sue difficoltà. E se queste cause invece fossero endogene, cioè dentro la persona stessa? Cosa succederebbe allora? Che uno va all'estero e si porta con se le proprie debolezze o errori.
E' un rischio. Una possibilità.
Cosa fare allora?

Comprendere perchè si è diventati confusi riguardo al lavoro e alle entrate vivendo in Italia.
Capire questo potrebbe anche portarci a risolvere le cose.
E guadagnare ciò che meritiamo senza dover per forza emigrare.

Grazie per l'attenzione.


sabato 9 marzo 2013

Ancora qualcosa sulle agenzie di rating

Abbiamo in passato già toccato l'argomento delle agenzie di rating.
Ma visti i titoli dei giornali di ieri e stamattina sul provvedimento di declassamento dell'Italia da parte dell'agenzia Finch, ci pare doveroso ritornare sul tema.
Cosa sono le agenzie di rating?
Trovate una descrizione introduttiva su Wikipedia (Agenzie di rating, Fitch, Moody's e Standard&Poor's).
Ma semplicemente le agenzie di rating sono imprese private (!) che fra le varie cose esprimono dei giudizi, praticamente delle pagelle, su tutto ciò che è economia e finanza.
Danno quindi un voto (dopo vedremo basato su cosa) a tutto ciò che si muove sul pianeta. Danno un voto a stati, grandi imprese, titoli di debito pubblico, fondi di investimento e via discorrendo.
La cosa peculiare è la questione del giudizio che esprimono su intere economie nazionali e su interi sistemi pubblici di finanziamento, il cosiddetto debito pubblico.
In pratica, per farla ancora più semplice, una agenzia privata di studiosi, economisti e cervelloni da un voto, un giudizio e una classe di merito ad uno stato e un organismo pubblico.
Fitch, una delle 3 più importanti e conosciute agenzie mondiali di rating, ha declassato l'Italia (come economia, come stato, come area di potenziale investimento per un investitore internazionale) di un grado portandola però nella seconda fascia, quella B.
Queste agenzie usano infatti un sistema americano di classificazione.
In pratica in alto c'è la classe A (il livello più elevato è la tripla A cioè AAA) e in basso, a livello di investimento spazzatura e totale inaffidabilità c'è la classe D.
Per approndimenti e schema completo vedere qui.
Quando un investimento, uno stato o un'impresa diventano meno affidabili passano da tripla A a doppia A a singola A, poi c'è la tripla B e via dicendo. Con in mezzo altre mezze misure.
L'Italia viene ora definita da Fitch un paese di tripla B. Da A- è passata a BBB.

Ma, uscendo da questi dettagli abbastanza insignificanti, che senso ha questa cosa?
Da più parti si sono levati opinioni e ipotesi di conflitto di interesse di queste agenzie. Qualcuno (molti hanno dimenticato ma non tutti) si ricorda che proprio queste agenzie, qualche anno fa, diedero ad alcune aziende esempi celebri di crack finanziari (Parmalat e Lehman Brothers su tutte) votazioni altissime in tema di affidabilità e profittabilità.
Delle 2 l'una: o le agenzie di rating sapevano e per interesse personale hanno taciuto o coperto queste aziende fallimentari spingendo alla perdita migliaia di piccoli investitori. Oppure queste agenzie non sono in grado di esprimere un giudizio minimamente valido su questo aspetto.

Ad esempio il parere di Fitch per l'Italia è che l'esito delle recenti elezioni denota un aumento dell'inaffidabilità del nostro stato perchè non presenta a livello internazionale una stabilità di governo.
Come se la stabilità di governo fosse in questo momento una panacea di tutti i mali.
Ci vien da pensare ad una famiglia in cui nessuno litiga e in cui tutto appare molto calmo. Ci sono i problemi ma non se ne parla. La famiglia, improvvisamente, si sfascia e si scopre che il marito ha l'amante, che la moglie vuol sposarsi con un altro uomo e che tutto va a catafascio.
Però c'era stabilità!

La stabilità è una gran cosa ma bisogna analizzare nei dettagli la situazione. Attualmente questa fase di protesta e indignazione di gran parte degli italiani (dimostrata con i voti che un movimento neppure costituito in partito nato in pochi anni e basato sulla completa rottura degli schemi politici del passato cioè il movimento 5stelle di Beppe Grillo) può essere anche intesa come un segnale positivo.
Non è positivo che non si riesca a fare un governo. E' positivo che finalmente gli italiani mostrino che sono disposti a tutto affinchè le cose in questo paese cambino.
Forse sarà dannoso tutto questo litigio e confusione.
Ma è sicuramente più dannoso far finta che tutto vada bene e proseguire in questa sorta di ignavia, come si è fatto in questi ultimi anni.

Come spesso affermiamo da queste parti, è quasi ridicolo che giornali e testate giornalistiche diano spazio alle opinioni di questa gente. Perchè lo fanno?
Riflettiamo su questo aspetto.
Forse ne possiamo trarre qualche riflessione utile.

Grazie per l'attenzione.

mercoledì 27 febbraio 2013

Quali nuovi scenari per l'economia italiana?

Oggi, inaugurandoti il 2013 su questo blog con il primo post dell'anno, decidiamo di dedicarci ad un tema estremamente complesso e scottante, pur nella sua incredibile attualità.
Due giorni fa il popolo italiano ha sentenziato il suo stato d'animo con le ultime votazioni politiche. I risultati sono chiari e univoci: gli italiani hanno una gran voglia di cambiamento e pochissima stima e fiducia nei confronti dei vecchi politici e leader.
Per la prima volta nella storia repubblicana, al parlamento ci sarà un'invasione di nuove facce completamente al di fuori dagli schemi partitocratici e di quella che oramai da tutti è stata definita come la "casta".
Forse faranno bene o forse faranno male. Solo il tempo ci darà risposta. Ma il cambiamento è epocale.

E una delle prime cose di cui tutti i nuovi (quasi) mille eletti dovranno affrontare sarà la situazione economica italiana.
Sarà un problema del parlamento ma ancor più del governo che da queste elezioni ne scaturirà (se si riuscirà a farlo venire alla luce).

Quale è l'attuale scenario italiano?
L'Italia è ancora la seconda economia manufatturiera d'Europa. Che ricordiamolo è comunque l'area mondiale in cui si produce (e consuma di più) nel mondo. La somma del PIL europeo è infatti superiore a quello degli Stati Uniti.
Ma, diciamocelo, già dagli anni '80 l'industria e la produzione manifatturiera italiana non è stata gestita nè fatta sviluppare. Sono mancati i piani strategici di sviluppo. Una incredibile miopia politica ha impedito una visione lungimirante nel medio e lungo periodo.

Attualmente la burocrazia e la sua ancora incredibile inefficienza, il terribile peso della pressione fiscale e la completa non funzionalità di un sistema di giustizia civile hanno di fatto smantellato la solidità del tessuto produttivo italiano.
Diciamocelo, non ci vuole un esperto in materie economiche e finanziarie per capirlo.
In Italia in questi ultimi anni si è puntato il dito sul fenomeno dell'evasione fiscale. Che è sicuramente un costo per la società e un indicatore di malfunzionamento e inefficienza.
Ma forse ci viene il dubbio che eleggere a (unico) colpevole l'evasione fiscale sia un pò troppo.

Ci sono talvolta taluni comportamenti, anche del singolo individuo o impresa, che spesso sono più dannosi del semplice non pagare le tasse dovute. Prendiamo ad esempio una consuetudine diffusa nel nostro stivale che è quella di non investire in innovazione e aumento della qualità.

Ma detto questo, quali possono essere le strade che ci potrebbero portare fuori da questa specie di palude in cui le persone si sentono sempre più imprigionate e che sempre più sta tarpando le ali ai progetti dei giovani e meno giovani italiani?

Questo blog, in tutta la sua umiltà, ne indica principalmente uno: l'aumento della capacità competitiva di ogni individuo e azienda italiana. 
E' una meta elevata ma semplice da capire e da mettere in pratica.
Chi andrà al governo deve mettere questo punto in cima alla sua lista delle cose da fare.
Come poi, concretamente, realizzi questa meta è un tema che possiamo affrontare nei dettagli.
La soluzione non è quindi (in ordine casuale e sparso....):
1) Regalare soldi a pioggia agli italiani.
2) Dare posti di lavoro inutili in strutture pagate dal pubblico.
3) Continuare a martellare gli italiani per scovare tutti gli evasori istituendo un regime di polizia.
4) Cercare fantomatici investitori stranieri che non si sa chi siano nè cosa vogliano.
5) Semplicemente ridurre la pressione fiscale senza cambiamenti strutturali.
6) Fare il credito di imposta.
e via dicendo.
Non che queste soluzioni non possano avere del buono ognuna di se e per se.
In un quadro organico potrebbero avere la loro utilità.

Ma è sbagliato pensare che dei dettagli tecnici o dei singoli provvedimenti sostituiscano la meta.
La meta è far diventare questa nazione efficiente.
Individualmente, a livello aziendale e a livello di organizzazione pubblica.

Se non lo faremo, non ce la faremo.
Grazie per l'attenzione.
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