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giovedì 10 novembre 2011

Come uscire da un tunnel di debiti? 2a parte

Dopo aver chiarito la distinzione fra debito e conto da pagare, il primo passo per portare ordine nella propria situazione finanziaria è quello di stilare un prospetto, possibilmente ordinato, cartaceo in cui evidenziare (nero su bianco) quale è la propria situazione finanziaria.

Mancare di avere un quadro chiaro e asciutto di quello che guadagniamo, di quali siano i costi fissi, i costi variabili e le somme che non stiamo riuscendo a pagare è non solo importante ma FONDAMENTALE E IMPRESCINDIBILE.

Uno degli errori, se non proprio il più grave che si possa commettere, in cui non cadere è quello di non avere un quadro chiaro della situazione.
Fin troppo spesso, lo scriviamo per averlo appurato per esperienza occupandoci di centinaia di consulenze personalizzate, le persone hanno una visione molto distorta dei loro conti da pagare e dei loro debiti. Soprattutto quando parliamo di singoli individui e di piccole imprese a conduzione familiare o giù di lì. Alcuni mi hanno risposto: "Ma se i soldi che circolano nelle tasche sono pochi a che serve tenere una contabilità?". Altri, forse con più arguzia, mi hanno detto: "Si, tengo la contabilità, porto tutte le fatture al commercialista!".
Con ordine......
Se il flusso monetario è basso o nullo, è ancora più importante tenere traccia dei movimenti per comprendere quale sia la situazione. Paradossalmente è più importante che chi non ha soldi tenga sotto controllo i propri conti rispetto a chi soldi ne ha da buttare.
La contabilità che un commercialista offre e gestisce non è esattamente la stessa cosa del tenere sotto controllo l'intero panorama finanziario di un individuo. Il fine è diverso. Il commercialista gestisce i conti di qualcuno con il punto di vista di rispettare le norme fiscali e di eseguire quegli che sono gli adempimenti richiesti. Le 2 cose quindi non sono uguali.
Anche perchè da una contabilità fiscale tenuta dal commercialista vanno esclusi tutti i movimenti che non hanno un evidenza giuridica. Ad esempio, un debito con un privato non è qualcosa di cui un commercialista può tenere traccia perchè non è un movimento fiscalmente rilevabile.

Come deve essere composto un quadro finanziario? Dovrebbe separare, come in qualsiasi contabilità, il patrimonio di una persona dal suo prospetto di entrate-uscite.
Per essere chiari useremo una spiegazione che chiarirà molti dubbi. Anzichè usare i classici nomi per parlare di patrimonio e cioè attività e passività, creeremo un prospetto patrimoniale come segue:
Da una parte indicheremo le IMPIEGHI (al posto delle parola attività!) e dall'altra indicheremo gli FONTI (al posto della parola passività).
Gli impieghi indicano quale destinazione o uso avranno i soldi. Potrebbero essere beni strumentali oppure accantonamenti sul conto corrente. Un credito è un impiego. Perchè i soldi che diamo in prestito vengono in un certo senso destinati a qualcosa.
Le fonti indicano da dove provengono i soldi. Tipicamente vengono da finanziamenti (propri o di altri) oppure da guadagno.
Ne deduciamo che quello che rimane dai ricavi detratti i costi costituisca un'entrata netta che diventa una fonte.
Nelle fonti occorre inserire tutti i propri debiti. Con privati, con lo stato o con banche.
Consiglio un programma che è molto utile per gestire i propri conti e che, nonostante sia molto semplice, è comunque molto professionale. E' un programma a uso libero e non costa assolutamente niente. Contattatemi via mail e non solo vi indicherò il nome del programma e il sito da cui scaricarlo gratuitamente. Ma vi invierò un modello di contabilità che gira su questo programma in modo assolutamente gratuito con consulenza apposita.

Quindi iniziamo da questo punto.
Mettiamo ordine ai nostri conti. E' il primo punto da cui partire.
Guardare in faccia il mostro e prendere il toro per le corna (per usare 2 metafore) è il primo passo per la soluzione dei problemi.
Mettere la testa nella sabbia il modo più facile per far perdurare ogni situazione.
Sembra il consiglio più banale e più scontato ma è verità sacrosanta, sperimentata di persona.

RICHIEDETEMI QUINDI IL NOME DEL PROGRAMMA E UNA CONSULENZA PERSONALIZZATA.  L'indirizzo email è denaroedintorni@tiscali.it.

Al prossimo post sull'argomento.
Grazie per l'attenzione.

giovedì 3 novembre 2011

Fare Business adesso in Italia? Che faccio, mi metto in proprio?

Nella mia attività di consulente finanziario, mi è capitato spesso di trovarmi ad accompagnare dei coraggiosi nel loro tentativo di mettersi in proprio e avviare una propria attività.
Ovviamente le persone si rivolgevano al mio studio di consulenza principalmente per l'ottenimento delle risorse finanziarie con cui dare via all'impresa.
Praticamente nessuno (nella mia personale casistisca decennale) si è presentato a richiedere dei finanziamenti con un piano aziendale preciso o con una chiara visione di quanto stavano per andare a fare.

Questa cosa è peculiare e volevo condividerla con voi oggi.
Sopratutto alla luce delle ultime vicende che stanno condizionando il presente e il futuro del nostro paese.
La domanda è precisa: è il caso di avviare qualche progetto imprenditoriale in Italia, ora?

La risposta non può essere un bianco o un nero. Non può essere un assoluto si o un assoluto no. D'altronde non gradiamo tanto l'uso di logiche assolute. Troppo grossolane, troppo superficiale. Solo 2 valori di riferimento quando il mondo è una sfumatura continua di colori e toni.
Dovremmo vedere di quale mercato parliamo, dovremmo vedere di quale precisa zona d'Italia parliamo.

Ma possiamo esaminare la cosa, partendo dai dati di fatto. Pensavate che l'Italia non fosse il miglior paese in cui iniziare un'attività imprenditoriale. E' una sensazione ma parrebbe anche un dato di fatto. Il sito "Doing Business" (fare impresa) della Banca Mondiale stila ogni anno una classifica di molti fattori relativi al fare impresa. Complessivamente, per l'anno entrante, siamo posizionati addirittura al 87-esimo posto (in calo di 10 posizioni rispetto all'anno precedente). In pratica ci sono SOLO 86 nazioni al mondo in cui è più facile aprire e condurre un'attività in proprio. Diciamo che in una classifica di 183 nazioni non è un grande risultato. Insomma vedete voi. Per essere la 7° o l'8° potenza industriale mondiale mi sembra una VERGOGNA. Questa è la pagina. Se volete divertirvi a vedere altri parametri (come ottenere credito, permessi di costruire, risolvere insolvenze, etc.) giusto per avere una panoramica maggiore.

Ora i soliti "finti" nazionalisti, diranno che sono solo opinioni contestabili, "saranno bravi loro", e così via. Non che ci piaccia prendere per oro colato classifiche e procedure statistiche. Ma ci piace l'idea di prendere qualsiasi di queste opinioni e raccogliere la sfida di poter fare un'autocritica costruttiva.
Che in Italia la burocrazia, le commistioni pubblico-privato, i clientelismi, una giustizia civile assurda anche per un paese del terzo mondo siano dei GROSSI problemi non lo scopriamo da un report di un'agenzia internazionale.

Quindi, tu che ora leggi e che vorresti metterti in proprio, cosa pensi di fare?
E' una buona idea aprire un'attività ora?

Partiamo da un presupposto. L'Italia è il nostro paese. Se adesso è ridotto come è ridotto è anche frutto di qualcosa che abbiamo fatto o NON abbiamo fatto anche noi. Quello che abbiamo è il risultato della somma delle responsabilità di tutti noi italiani. Su questo non ci piove e non ci si discute.
Quindi abbiamo, anche, la responsabilità di pensare di ricostruire la dignità e la credibilità di un paese che ha un patrimonio umano e culturale unico nel pianeta. L'Italia è un paese che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Questo non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo.

Quindi, da fidanzate tradite, o prendiamo il coraggio a 2 mani e andiamo via da questo paese, andando a vivere da qualche altra parte, oppure vediamo che si può fare.

Mettersi in proprio in Italia non è facile, ma d'altronde molte persone ce l'hanno fatto nonostante tutto. Quindi il punto è che dobbiamo fare le cose in un posto dove la gravità è maggiore. Si fatica di più, è vero. Ma la sfida è maggiore. E vincere ancora più entusiasmante.

Vedremo prossimamente come arrivare corazzati al fatidico momento di mettersi in proprio. Come trovare le risorse in questo momento non facile e come preparare un piano aziendale che non sia una stupidaggine accademica come i business plan che vengono spesso preparati.
E se scriviamo così, abbiamo motivi validi per dirlo.
Quindi, si, ci possiamo mettere in proprio ma non prima di avere chiari i pericoli e le difficoltà. E le risorse che dobbiamo avere.

Alla prossima. Grazie per l'attenzione.

mercoledì 2 novembre 2011

Gli italiani e la paura del default!

In questi difficili giorni per il futuro della nostra nazione, di noi stessi e dei nostri figli, è difficile trovare qualcosa su cui ridere e sorridere.
Una cosa mi ha sempre colpito del modo di fare giornalismo nell'italico stivale.
Questo uso ossessivo di alcuni termini spefici che diventano quasi dei tormentoni di un comico.
Quante parole, di uso non consueto, sono entrate nel lessico comune, solo perchè ripetute e ripetute in una specie di orgistica cerimonia religiosa volta ad evocare qualche sorta di dio o di demone?
Quante ne abbiamo sentito in questi anni?
Inciucio, ribaltone, Bunga-Bunga, Sars, influenza suina e via discorrendo.
Non si riesce in un colpo solo a ricordarli tutti. Ma sarebbe bello.
In queste ultime settimane non sento altro che parlare di spread, io che ho usato questa parola nel mio lavoro per anni. Spread non significa altro che differenziale. Fra 2 valori. Quello di cui parlano in modo ossessivo e compulsivo i gionali e le tv è il differenziale fra il tasso dei titoli di debito pubblici tedeschi (bund) e quelli italiani. Maggiore è questa differenza, maggiore è la percezione che investire nei titoli di debito pubblico italiani sia pericoloso. Un modo indiretto per valutare la credibilità del nostro sistema paese.
E poi c'è DEFAULT. Il default è una bella parola inglese che ha una perfetta sorella gemella italiana che si chiama insolvenza. Ci si potrebbe chiedere perchè chiamare 2 cose con nomi inglesi quando hanno un corrispondente perfetto e preciso nella nostra lingua? Ma è un tema che ci porterebbe lontano.

Insolvenza significa semplicemente quello che significa. Letteralmente l'incapacità di mantenere fede agli impegni di pagamento concordati. E' qualcosa che vale per un individuo, per una società commerciale e per una nazione intera.
Sebbene molti italiani sappiano tutto sulla vita e sulle aspirazioni dei concorrenti del grande fratello o delle misure toraciche e pubiche di Belen Rodriguez, non tutti sanno (o non tutti ricordano!) che con un debito pubblico di quasi 2.000 miliardi di euro, l'Italia sborsa ogni anno poco meno di 80 miliardi di euro di interessi. Cioè paga ai possessori dei titoli di debito pubblico questi rendimenti accordati per contratto.
Come nazione, come sistema paese dobbiamo cacciar fuori tutti questi soldi SOLO e UNICAMENTE per pagare gli interessi. Senza la minima possibilità di neppure ridurre il debito. Lasciamo perdere poi quando ci sono delle tranche di debito che debbono essere rimborsate. Anche perchè i titoli hanno delle scadenze: 2 anni, 5 anni, 10 e persino 30 anni.
E che si fa quando i titoli scadono? Generalmente si fa la cosa più ovvia anche se la meno furba. Cioè si rinnova il debito.

Qualcuno ha detto che l'Italia è un paese troppo grande per poter fallire.
Su questa regola non scritta si basano la maggior parte dei disastri finanziari pubblici e privati.
E' evidente che un singolo individuo non può sopravvivere a lungo in una situazione debitoria. Tant'è che una gestione finanziaria scorretta da parte di una piccola ditta sfocia quasi subito in un fallimento.
Altrettanto ovvio è che maggiori sono le dimensioni (in termini di persone e strutture coinvolte) del soggetto e maggiore è il tempo perchè questo collassi su se stesso e cada.
Ma la storia insegna che anche gli imperi si disgregano. E spesso lo fanno nel giro di pochissimo tempo. Cioè stanno lì, stanno lì, stanno lì, stanno lì.... apparentemente solidi ma con una continua crescita interna dei problemi. Che di base sono problemi di disequilibrio delle risorse che il controllo centrale non riesce a riportare in uno stato di equilibrio.
Quindi se qualcuno vuole tranquillizzarvi con questa favola per bambini che L'Italia è una nazione troppo grande per fallire sappiate che non è una strategia molto lungimirante e fondata.
O qui si fa qualcosa (e non sembra che chi debba farlo sia nella condizione di riuscirci!) o semplicemente il giocattolo si rompe.
C'è qualcuno che lo ripete da anni. Tacciato di non amare il proprio paese o di essere negativo o pessimista. Come se un dottore che scopre che un suo cliente ha il cancro possa essere tacciato di essere un catastrofista solo perchè consiglia di curarsi.

L'Italia è a rischio insolvenza o default se preferite. Lo è davvero. Cosa tutto comporterà questo non è prevedibile nemmeno da 10 nobel dell'economia fusi insieme. Troppe variabili, troppo imprevedibili le reazioni emotive di chi verrebbe colpito.

Naturalmente è facile, per uno come me, uno dei tanti, per quanto operatore in campo economico e finanziario, stare qui a sparlare.
Sarebbe giusto proporre delle soluzioni o indicare delle strade.
Dal mio punto di vista, di fronte ad un problema grande, ci vuole una soluzione grande. Ovvero delle modifiche radicali dell'intero sistema. E queste modifiche sono talmente grandi che nè la classe politica, nè di chi tira le fila di questo sistema potrebbero portare a compimento. Perchè in primo luogo taglierebbero drasticamente la loro funzione e la loro importanza.
Il sistema è malato. Anzi sta muorendo. Non penso che prescrivere una tachipirina o uno sciroppo per la tosse sia il modo per salvare il moribondo.

La prima cosa da fare sarebbe quella di capire che se ne esce solo lavorando. Quindi il primo provvedimento che un governo dovrebbe fare è penalizzare chi fa i soldi con i soldi e premiare chi fa i soldi con il lavoro, con la produzione, con la fornitura di servizi e beni.
Contemporaneamente si dovrebbe dare un taglio incredibile a tutti i costi superflui. E ci sono in giro un sacco di libri che li elencano (vedi La casta e similari).
A quel punto si potrebbe entrare nello specifico di cambiare i fondamenti del meccanismo finanziario e bancario. Ovvero perchè le banche hanno tutto questo potere? Perchè lo stato se ha bisogno di denaro deve farselo prestare? Anzichè usare la sua credibilità per ottenere credito a costo zero?
Ne riparleremo in un prossimo articolo.
 
Grazie per l'attenzione.


martedì 1 novembre 2011

Come uscire da un tunnel di debiti? 1a parte

Salve,
ci sono alcune parole che spaventano e inquietano. Pur rimanendo solo e soltanto parole. In questi giorni di Halloween, abbiamo le streghe, i vampiri, i licantropi, gli zombie e via dicento.
Abbiamo parole che veicolano immagini di malattia e di morte. Altre di disperazione e dolore.
Una parola che sicumente tormenta l'italiano media in questi tempi è DEBITO. O meglio debiti, perchè al singolare non spaventa così tanto.
A meno che non si stia parlando di debito pubblico e allora lì è un altro discorso.
Con questo post, vorremmo inauguare un periodo in cui affronteremo a più riprese il concetto stesso di debito. Ciò perchè appare fin troppo evidente che esistano concetti errati su questa cosa e appare ancora più evidente che moltissime persone abbiano problemi a riguardo.

Parlare di lavoro, imprenditorialità o addirittura finanza ed economia internazionale quando di è sopraffatti da debiti contingenti, diventa difficile. Non che si parlerà unicamente di questo ma sarà un tema ricorrente.

Non solo, abbiamo in preparazione un nuovo libro, il cui titolo è ancora in discussione ma che momentaneamente è intitolato "Come risalire la china!" ovvero come riuscire a tirarsi fuori dalle paludi della vita, soprattutto dalle trappole dei problemi finanziari.

Iniziamo con calma e dalla base (come solitamente ci piace fare!),
Cos'è un debito?

Un debito è, genericamente, un vincolo nei confronti di qualcuno per cui siamo tenuti a restituire qualcosa che ci è stato prestato. Questo qualcosa può essere un FARE o un DARE. Cioè qualcuno può aver fatto qualcosa per noi oppure può averci dato qualcosa. E noi sappiamo (per accordo condiviso) che questo qualcosa debba essere restituito.
Questo in via generale.
Tralasceremo, ovviamente, tutti i commenti e le riflessioni sui debiti morali ed etici che possiamo aver contratto. Dobbiamo qualcosa a molte persone: a genitori, parenti, amici, etc. Spesso questi "debiti" vengono ignorati o minimizzati ma è un argomento vasto e non lo toccheremo. Parliamo in questo cao dei debiti relativi ad un FARE.
Più facile è discutere dei debiti relativi ad un DARE. Qualcuno ci da qualcosa con l'accordo che questo qualcosa debba essere restituito prima o poi. Potrebbe non essere una restituzione della stessa cosa ma di qualcosa di similare. Se non c'è il vincolo della restituzione avremmo il concetto di "regalo" o di "vincita".
Più concretamente, ciò che più frequentamente viene prestato è il denaro! Proprio perchè il denaro stesso è un jolly che facilmente si trasforma in oggetti e servizi, avremmo che più facilmente si presta e si rimborsa denaro.

C'è però un punto che va chiarito e che è FONDAMENTALE per comprendere la natura del debito.
Erroneamente molti chiamano debiti delle cose che, dal punto di vista pratico, debiti non sono.
Esempio molti chiamano debiti le rate delle finanziarie con cui stanno acquistando l'auto oppure la rata del mutuo. Ma andiamo con calma, per capire meglio.

Il debito finanziario consiste in una somma generale che siamo tenuti a restituire a qualcuno in virtù di un contratto o di un accordo. In genere si prende una cifra X e di concorda che questa verrà restituita in un tempo prefissato, in un'unica solozione o con pagamenti scadenzati (le rate).
Ma esposto così, il concetto non ci aiuta a comprendere bene la natura del debito. Soprattutto dei connotati emotivi connessi.
Allora stabiliremo questa differenza:
DEBITO (in inglese debt): una somma di denaro dovuta a qualcun altro che non stiamo restituendo nonostante gli accordi o che pensiamo di non riuscire a restituire.
CONTO da PAGARE (in inglese bill): una somma di denaro dovuta a qualcun altro che stiamo restituendo regolaramente in base agli accordo e che pensiamo di riuscire a restituire.

Compresa la differenza?
Prendiamo ad esempio la differenza fra un mutuo e l'affitto di un appartamento.
Fissiamo, per semplicità, che la rata del mutuo sia uguale al canone di affitto. Mettiamo che entrambi costino alla famiglia 700 euro mensili.
Da una parte abbiamo qualcuno (chi ha contratto il mutuo) che sa che ogni mese deve pagare 700 euro per tutti gli anni a venire per garantire un tetto sulla testa della sua famiglia. Dall'altra parte abbiamo qualcun altro (chi ha la casa in affitto o, meglio, locazione) che sa che ogni mese deve pagare 700 euro per tutti gli anni a venire per garantire un tetto sulla testa della sua famiglia.
E' ovvio che sebbene la situazione sembri uguale, vi sono delle grosse differenze fra le 2 famiglie.
La prima pagherà 700 euro per un periodo limitato (20, 25 o 30 anni mediamente) mentre l'altra famiglia pagherà 700 euro vita natural durante.
Ma da un punto di vista strettamente di equilibrio dei conti, la situazione è similare.
La famiglia con il mutuo ha si un debito complessivo con qualcuno di (esempio) 200.000 € ma a pareggiare i conti avrà anche la proprietà di un immobile del valore di 200.000 €. D'altra parte chi vive in affitto non ha nessun debito complessivo ma neanche nessun patrimonio.
Insomma le situazioni hanno indubbie differenze (dopo 30 anni chi ha contratto il mutuo smette di pagare la rta di 700 euro e si ritrova proprietario di un bene, chi sta in affitto no) ma la nostra attenzione si sposta sul meccanismo mentale del pagamento del debito.
Chi sta in affitto sa che deve pagare ogni mese 700 euro oppure finirà su una strada. Chi paga il mutuo sa che deve pagare ogni mese 700 euro oppure gli porteranno via la casa, e finirà su una strada. Tralasciamo adesso i particolari di giustizia civile che alterano questo apparente equilibrio.

Il punto è che se incassiamo dei soldi e paghiamo regolarmente la rata/affitto siamo a posto. In entrambi i casi avremmo dei CONTI (bills) da pagare.
Il problema nasce quando non si hanno i soldi per pagare la rata/affitto. E sebbene chi ha il mutuo, sa che deve restituire una cifra spesso molto grande se smette di pagare, lo stesso si può dire per chi è in affitto. O pensate che costui possa evitare di trovare un tetto da mettere sulla testa della propria famiglia?
Naturalmente se non si riesce a pagare un affitto di 700 euro, la famiglia cercherà una casa con un costo di locazione minore: magari 500 €. Ma il concetto CONTI/DEBITI esiste.

Così quando sottoscriviamo una finanziaria, quei soldi che restituiamo ogni mese sono un CONTO. E rimane tale finchè non ci troviamo nella condizione di non riuscire a pagare.
Ma sebbene chi non ha mai contratto prestiti bancari o non ha mai usato carte di credito, possa sembrare in condizioni finanziarie migliori perchè non ha DEBITI, in realtà ha anch'egli il peso di dover pagare dei CONTI ogni mese.
Ha l'affitto (a meno che non abbia casa di proprietà senza mutuo), la spesa mensile alimentare, la polizza assicurativa dell'auto, le spese di carburante, telefono, energia elettrica, gas, abbigliamento, etc., etc.
Quindi ogni mese non può far finta che non abbia dei pagamenti obbligatori e non rimandabili. Pagamenti che sono inesorabili come una rata. 

Con questo non stiamo suonando la grancassa all'abbandonarsi a chiedere soldi in giro. Il vero problema non sono i finanziamenti in se ma i motivi che li causano. Anche perchè il fatto di avere un prestito per l'acquisto di qualcosa può comportare un vantaggio. Ad esempio acquistare l'auto può metterci in condizione di lavorare meglio o di avere un altro lavoro. Quindi quell'acquisto è proficuo e giusto da effettuare. E sfruttare un prestito può essere veramente utile.
La persona pagherebbe anche un costo (gli interessi) per il servizio di cui usufruisce (poter disporre ORA di soldi che l'individuo guadagnerà nel futuro!).

Ma perchè, di base, facciamo questa lunga dissertazione su DEBITI e CONTI?
Perchè avere debiti pesa su una persona e ne limita le capacità di procurarsi nuove entrate! Cosa che non succede con i conti! Così una persona che ha un debito da 10.000 euro che non sta riuscendo a restituire si sentirà più schiacciato e oppresso dalla cosa rispetto ad una persona che ha 100.000  euro di conti che riesce tranquillamente a pagare.

Questo primo chiarimento ci può permettere di elimare molti fumi e nubi dalla comprensione del panorama delle situazioni di passività finanziarie.
E man mano cercheremo di rispondere alla domanda del titolo dell'articolo.
Anche in riferimento con quello che si può e si dovrebbe fare nei confronti dei nostri eventuali creditori. Anche quando ci martoriano con lettere dell'avvocato o con le telefonate delle società di recupero crediti.

Grazie per l'attenzione.

giovedì 27 ottobre 2011

Perdere il lavoro e trovarne un altro. Il lavoro come oggetto.

Al giorno d'oggi il lavoro è diventato una pietra miliare della vita di tutti noi.
Ci si dispera se lo si perde, lo si ricerca disperatamente se non lo si ha, lo si invidia a chi lo possiede.
Il lavoro ormai è diventato un concetto talmente solido da non essere più un'attività (io svolgo un lavoro) ma un oggetto (io possiedo un lavoro).

Giorni fa leggevo un articolo di un formatore e consulente di marketing italiano, il quale giustamente poneva in rilievo come i parametri del mondo del lavoro sia profondamente mutati rispetto ai paradigmi (cioè agli schemi di funzionamento) dei decenni scorsi.
Ma in un modo profondo e radicale!

Ovvero, se fino a qualche anno fa il concetto era statico (fai le scuola, laureati all'università, trova una collocazione in una grande azienda o avvia la tua carriera professionale fino alla fine dei tuoi giorni) ora è diventato dinamico.
Ma cosa significa in realtà questo passaggio da statico a dinamico?
Significa che prima la meta era il possesso di un contratto di lavoro ovvero l'occupare una posizione all'interno di una schema organizzativo. Io vengo assunto da qualche parte, ho il posto fisso e questo mi mette al riparo da tutto. Forse, nel mentre, posso anche imparare a fare qualcosa.
L'occupare un posto era la meta. E per fare questo contavano i certificati e gli status: cosa hai fatto? che scuole hai frequentato? quali certificati hai? Il famoso curriculum, insomma.
Valuti qualcuno in base a quello che HA FATTO!
Passato, vedete? Il paramentro era il passato.......

Ma in un contesto completamente diverso, in cui i mercati spostano violentemente le risorse da un paese all'altro e in cui i governi nazionali faticano a trovare dei sistemi sovranazionali per regolamentare le differente normative delle nazioni coinvolte, non conta più cosa qualcuno ha fatto o quali certificati ha ottenuto.
Alcune volte, il fatto di aver occupato per 20 anni una certa posizione in una struttura rigida, viene addirittura visto come un impendimento piuttosto che come un punto a favore.
Adesso vi è un netto spostamento verso il futuro e verso ciò che un individuo PUO' FARE! e non verso ciò che ha fatto.
L'attenzione si sposta dagli studi e dai certificati (che garantiscono solo che qualcuno conosce come le cose si facevano..... in passato!) alla capacità di anticipare le esigenze del mercato o di trovare soluzioni ai problemi.
In pratica si cercano persone con una formazione diversa e proiettata nel futuro.
Persone che non solo siano in grado di operare nel presente ma, SOPRATTUTTO, che siano in grado di adattarsi ai prossimi imminenti cambiamenti del mercato.

Cioè il lavoro, da oggi in poi, sarà continuamente rivoluzionato da cambiamenti. Sarà tutto un work in progress, ovvero un cambiamento continuo. Ecco il motivo di avere nella propria squadra persone che riescano a tollerare questa mutabilità e trasformare i cambiamenti in opportunità.

In questi giorni si parla tanto (come nei recenti anni) di aumento della flessibilità. 
Le imprese chiedono la possibilità di avere strumenti maggiormente flessibili.
I sindacati e i lavoratori temono (spesso a ragione) che dietro questa parola ci sia solo una scappatoia per scaricare i propri dipendenti da parte dei datori di lavoro. Quindi flessibilità vista come precarietà.
E di certo con la precarietà è duro, durissimo, incredibilmente duro riuscire a pianificare il proprio futuro.

Il tema è talmente vasto che è impossibile esaurirlo non solo in un articolo ma in 40 o 50 articoli.
Ci vorrebbe un intero libro che analizzi come da un'idea si possa passare a dei provvedimenti pratici senza danneggiare nessuna delle parti coinvolte.

Il punto è che il lavoro non è un oggetto. Il lavoro è una capacità. Una capacità che viene percepita dagli altri e che gli altri mettono in azione tramite la domanda (incarichi, assunzioni, ordini). Una capacità che diventa prodotti e servizi.
Così chi cerca lavoro pensando che sta cercando un oggetto da acquistare che qualcuno vende da qualche parte, ha molte difficoltà nel trovare lavoro. Cerca qualcosa che non c'è fuori di lui.
Il lavoro è dentro di lui.
E' una verità oltrmodo dura, oltremodo. 
E' una frase che attirerà i disappunti e le antipatie di alcuni e le perplessità di molti.
Ma rifletteteci un attimo e vedrete che se qualcuno cerca un lavoro senza offrire delle capacità (e non titoli, status o robe simili), non cerca lavoro ma un regalo. O qualcosa del genere.

Quale soluzione, quindi? Di sicuro, sia che si cerchi un primo lavoro o un reinserimento nel mondo del lavoro dopo averne perso uno, interrogarsi su quali capacità potenziali siamo in grado di offire sul mercato è il primo punto.
Se non abbiamo capacità da offrire, trovare lavoro sarà sicuramente arduo.

Grazie per l'attenzione.
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