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mercoledì 2 febbraio 2011

Come faccio ad iniziare un nuovo lavoro? (3a e ultima parte)

La scelta del posto in cui vivere e lavorare è fondamentale.
Mi spiace essere diretto e drastico ma occorre che ognuno di noi metta sul piatto della bilancia i 2 opposti obiettivi che spesso si fanno la guerra e faccia pendere l'ago da una parte o dall'altre.
In genere il successo lavorativo si contrappone agli affetti familiari. In un senso o nell'altro questi 2 obiettivi contrapposti, possono entrare in rotta di collisione.Ora non è detto che questo debba sempre e necessariemente accadere. E' possibile che qualcuno non si trovi dinnanzi alla continua scelta fra quali di queste 2 componenti della vita di una persona debba essere preferita o facilitata.
Potrebbe ma non è la consuetudine. Quindi parleremo di quando questi 2 obiettivi sono contrastanti.

Quindi, in un'ottica di cambiamento di lavoro/attività, bisogna interrogarsi a fondo su quali siano le nostre priorità.
In India vige un detto che recita "Quando non sai dove andare, qualsiasi strada va bene". Corretto, no?
Una volta chiarite le nostre velleità lavorative, probabilmente avremo anche chiarito il dilemma principale del cambiare lavoro. Che è sempre: lavoro autonomo lavoro dipendente? Questo dilemma non è roba da poco perchè la filosofia di fondo che dimora nelle 2 scelte è profondamente diversa e per molti aspetti antitetica.
Il lavoro dipendente può essere espresso come la volontà di porre il proprio tempo a disposizione di qualcuno affinchè si ottenga un prodotto o un risultato ottenendone un compenso monetario basato su questo parametro (il tempo).
Il lavoro autonomo può essere espresso come la volontà di utilizzare il proprio tempo per ottenere un prodotto o un risultato ottenendone un compenso monetario.
Nel primo caso il compenso monetario è prevedibile. Nel secondo caso no.
Nel primo caso vi è certezza di guadagno, nel secondo caso no.
Ma nel secondo caso vi è libertà e potenzialità che nel primo non sono contemplate.
Ovviamente ci sono molti aspetti particolari da esaminare. Lavori che appaiono come autonomi e che invece possono essere meglio riclassificati come dipendenti e viceversa.

Se dobbiamo spiegare come si inizia un nuovo lavoro, forse dovremmo rispondere a questa domanda differenziando la risposta per le 2 categorie di cui abbiamo parlato.
E di queste parleremo nei prossimi giorni.
Grazie per l'attenzione.

mercoledì 26 gennaio 2011

Come faccio ad iniziare un nuovo lavoro? (2a parte)

Cambiare lavoro è un trauma mentale ancor prima che sostanziale.
D'altronde i cambiamenti vengono patiti più a livello mentale che altro. Non è importante come le cose sono ma come le percepiamo.

Uno dei grandi problemi che il moderno sistema economico (quasi) globalizzato ha, è proprio il meccanismo della "flessibilità" del lavoro.
Ora si possono cambiare le idee e modificare le percezioni delle persone con un uso accorto delle parole.
Chiamare "flessibilità del lavoro" il fatto di licenziare facilmente qualcuno è una trovata che da sola meriterebbe un premio.
Come direbbe l'inviato delle Iene, Lucci, in Italia un premio non si nega a nessuno!
Sta di fatto che questo meccanismo della flessibilità dovrebbe essere rivisto in un'altra ottica. Ovvero l'ottica della sopravvivenza di una specie.
Da una parte, infatti, appare insensato questo continuo richiamo alla stabilità del lavoro e questa lotta alla precarietà. Se per lotta alla precarietà intendiamo uno sforzo collettivo (di autorità pubbliche, imprese, artigiani e lavoratori dipendenti) nel rimuovere dal sistema ogni fattore possa diminuire la capacità produttiva del sistema stesso compresi (e soprattutto direi io) i comportamenti disonesti o non etici, allora tutti saliremmo su questa barca.
Ma dire semplicemente che il lavoro non debba essere precario è come sostenere una banalità. Non è un concetto definito e in quanto tale ognuno ne darà un significato di parte e quindi scorretto.
Un agente di commercio, un proprietario di un piccolo negozio, un libero professionista sono (lette in una certa ottica) delle figure precarie. Non sanno quanto lavoro produrranno, non sanno quanto guadagneranno mese per mese, non sanno se riusciranno a campare la loro famiglia. Il mese inizia e non si sa quanto si raccoglierà dopo 30 giorni. Più precario di così!!
Qualcuno ovviamente capirà che questa metafora è forzata.
L'agente, il negoziante e il libero professionista saranno precari nella misura in cui il lavoro va male.
Il problema quindi non è il fatto di sapere che si avrà uno stipendio fisso per tutta la vita in un posto di lavoro che non cambierà mai. Non è questo il punto.
Il punto è che ci si sente precari quando non ha il minimo controllo sulla propria sfera lavorativa.
Se decido di fare il collaboratore in una struttura di ricerca o l'addetto ad un call center, la precarietà è il fatto che (a differenza dell'agente, del negoziante e compagnia cantante...) subisco completamente ogni decisione dell'amministrazione in merito al futuro di quella collaborazione. 
Ma stiamo fuggendo dal discorso.
Come si fa ad iniziare un nuovo lavoro?
1) La prima regola è il passaggio graduale. Ovvero è altamente consigliato evitare delle rotture brusche da un attività ad un'altra. E tanto più le 2 attività sono differenze e distanti e tanto più il passaggio deve essere graduale. Se lavoro come cameriera e decido di andare a lavorare come addetta delle pulizie, il passaggio può essere immediato. Ma se ho fatto il carpentiere e decido di andare a fare il venditore di contratti telefonici, è altamente sconsigliato chiudere con un'attività e iniziarne un'altra.
2) Il periodo di passaggio fra un lavoro e un altro ha un costo in termini di inefficienza. Nelle attività imprenditoriali si chiama "fase di start- up", in italiano avviamento. E come per un auto, i primi metri sono quelli più impegnativi per il motore a causa dell'inerzia del peso. Per superare questo periodo di passaggio, chi cambia lavoro deve mettere in conto questo costo ed avere una soluzione per esso. Ovvero avere qualche soldino che copra le necessità primarie accantonato o disponibile da qualche parte.
3) Nel cambio di lavoro sopperire alla carenza di esperienza nel nuovo lavoro con un incremento di conoscenza. Lo studio e l'esercizio possono sostituire la mancanza di esperienza diretta. Se non si è mai venduto, fare un corso sulle vendite può essere una buona soluzione. Lo studio non eguaglierà mai l'esperienza diretta. Ma c'è anche da dire che senza studio, spesso, l'esperienza diretta non porta ad una crescita. Ci sono persone che lavorano in una certa professione da anni ma anzichè migliorare con il tempo, imparano semplicemente a diventare "esperti" nel ripetere gli stessi errori. Questo perchè non si mettono mai in discussione con lo studio e l'apprendimento. Lo studio è meglio se effettuato presso contesti appositi ma anche la semplice lettura di libri specializzati nella formazione è di grande aiuto.
4) Il cambio di lavoro deve andare incontro al progresso della persona verso i suoi obiettivi nella vita. Un cambio di lavoro guidato solo dall'aumento di guadagno o da un fattore simile potrebbe essere un boomerang. La promesse di nuovi e più facili guadagni può attirare qualcuno verso mestieri nuovi o soluzioni strambe. Il cambio deve avere un senso ed essere allineato alla propria personalità fondamentale.

Si va bene tutto questo, abbastanza di buon senso. Ma pur sapendo quali errori non commettere nel cambiare lavoro, forse non stiamo rispondendo ad una domanda che potrebbe risultare fondamentale. Ovvero 
Si, però come individuo un nuovo lavoro?
Il mio lavoro non mi piace, non mi dà sicurezza/soddisfazione/successo sociale. Nella mia terra/città non c'è lavoro per nessuno. Cosa mi invento? Devo emigrare?

Di questo parleremo nella terza e ultima parte dell'articolo.
Grazie per l'attenzione.

lunedì 24 gennaio 2011

Come faccio ad iniziare un nuovo lavoro? (1a parte)

L'italiano medio è, di questi tempi, preoccupato per una quantità di fatti per la cui conta non bastano le dita di una mano. E neppure le dita dei piedi. Forse sommando tutte le dita di mani e piedi di tutti i suoi familiari + qualche volenteroso vicino potremmo avvicinarci alla realtà.
Il lavoro è certamente il PROBLEMA della stragrande maggioranza degli italiani. E per stragrande intendiamo circa il 60% della popolazione. Del restante 40% possiamo solo dire che il 18% è fatto da persone minori di 18 anni mentre il 20% ha più di 65 anni. Rimane un 2% per cui, a causa della propria agiatezza, il lavoro non rappresenta un problema.


L'Italia attraversa, dal nostro punto di vista, la peggiore crisi sociale da 35 anni a questa parte, da quel periodo chiamato anni di piombo in cui le tensioni sociali e classiste interne premevano contro lo stato dello stivale da una parte mentre la crisi energetica mondiale premeva dall'altra.
E, sempre dal nostro punto di vista, sebbene certi problemi siano, in un certo senso, ugualmente risolvibili la situazione si presenta peggiore rispetto a quei momenti degli anni '70 perchè meno vive sembrano che siano la forza e la dignità degli italiani.

Il lavoro rappresenta un buon 65/70% del tempo settimanale di cui siamo dotati. In molti casi il tempo passato a lavorare è anche maggiore. In ogni caso moltissimi fattori individuali e familiari dipendono dal lavoro.
Perchè?
Per quanto ci piace atteggiarci ad essere evoluti, possiamo solo dire che lo scopo principale di ogni essere umano è quello di garantirsi la sopravvivenza. E che ne risulta di concetti come l'etica, la spiritualità, la creatività, l'amore e così via?
Sono forse da dimenticare? Certamente no e il fondamento del nostro pensiero colloca questi fattori ad un rango di importanza maggiore rispetto alla materialità immediata. 
Ma rimane il fatto che la spinta innata di ogni essere umano è indiscutibilmente volta a cercare la propria sopravvivenza, comprendendo in quiest'ambito anche la sopravvivenza della propria famiglia e discendenza così come la sopravvivenza del proprio gruppo sociale.
Il moderno impegno nel lavoro diventa così qualcosa di simile alla lotta per la sopravvivenza del resto degli animali o dei nostri antenati meno civilizzati. Si usciva al mattino presto per procurarsi cibo e strumenti utili per se e per i propri figli. Si andava per i campi o per la jungla spinti da un istinto a procurarsi il sostentamento consci che là fuori è una lotta per la sopravvivenza.
Quanti di noi escono di casa con questa sensazione?

Cambiare lavoro è, secondo questo modo di vedere le cose, solamente un modo per reagire ad un improvviso calo di fonti di sopravvivenza. Se fossimo dei cavernicoli o una razza primitiva potremmo trovarci, ad un certo punto, ad osservare la nostra fonte d'acqua prosciugarsi o diventare poco sana. Potremmo assistere ad una siccità persistente che limita le risorse nuttizionali oppure essere colpiti da un flagello meteorologico tale per cui la ricerca di un nuovo posto risulta necessario.
Nessuno dice che sia bello dover cambiare lavoro nè che questo passaggio debba essere svolto canticchiando o semplicemente stringendo le spalle in una sorta di qualunquismo professionale.
Di certo ogni economia attraversa fasi e prima del disastro e della chiusura di un'azienda, di un'area o di un mercato vi erano stadi intermedi in cui si poteva intervenire con cure meno drastiche.

Ma, per quanto certi problemi è sempre meglio risolverli a livello globale o di gruppo, il discorso che possiamo mettere adesso in pista riguarda l'individuo.
Se il lavoro che facciamo adesso non funziona, che si fa? Se non ci garantisce i redditi che desideriamo, se non ci da la soddisfazione che riteniamo minima e rispettosa della nostra professionalità......
Ne parleremo nella seconda parte.
Grazie per l'attenzione.

lunedì 10 gennaio 2011

Estratto dal libro "La legge del denaro"_ il lavoratore dipendente

Pubblico un estratto dal libro "La legge del denaro", che ho recentemente pubblicato presso la Giacomo Bruno Editore e che trovate in vendita anche nel sito di Amazon.com e nel nuovissimo sito di vendita on line di libri della Telecom Italia, biblet.it.

Come si comprende dal titolo e come già pubblicizzato in questo sito, il libro parla di cosa veramente sia il denaro, del perchè è un problema per molti e come si possa fare a smettere di essere delle vittime del denaro e diventarne dei domatori.

Come può un dipendente guadagnare di più?

SEGRETO n. 23: gli strumenti  che un dipendente ha a sua disposizione per incrementare le sue entrate sono:  agire in modo che nel posto di lavoro siano introdotti i meccanismi che premiano chi produce ed aumentare la propria produttività attraverso un maggiore impegno sul posto di lavoro.

In terzo luogo e in modo più pertinente, ciò che un lavoratore può fare per aumentare le sue entrate di denaro, è prendere delle nuove decisioni di lungo periodo sulla sua vita. Imaginiamo la quantità sterminata di lavori dipendenti che una persona potrebbe fare. Come detto, forse qualcuno ha deciso che il suo futuro è scalare la gerarchia della ditta per cui lavora. A questo punto egli dovrebbe focalizzare la sua attenzione sulle sue mete e mettere a frutto i punti 1 e 2 precedentemente esposti. 
Se qualcun altro ha deciso di cambiare lavoro (perché quello attuale non fa per lui) o il suo sogno è di fare un altro lavoro o mettersi in proprio (diventare imprenditore) allora dovrebbe concludere la lettura del presente materiale, in modo da capire come alcune influenze culturali e alcune pressioni interpersonali influenzano le nostre decisioni. Riuscirà, a quel punto, a prendere nuove decisioni sul proprio futuro evitando di cadere nelle trappole mentali che spesso, a causa di influenze esterne, si creano. Il lavoro giusto per ognuno di noi è quello che 
  • ci fa stare bene e ci soddisfa,
  • ci permette di mostrare le nostre abilità, 
  • ci consente di guadagnare ciò che riteniamo sia il giusto compenso per le nostre abilità. 
Un individuo dovrebbe cercare questo lavoro con impegno perché l’essere umano passa la maggior parte del suo tempo a lavorare e la sua attività lavorativa non è una scelta minore nella sua vita.


In realtà, come si è potuto desumere, un lavoratore dipendente ha dei limiti oggettivi riguardo la sua capacità di guadagnare molti più soldi. L’unico vero consiglio che si può dare è che un dipendente riveda per bene gli scopi e le mete della propria vita in relazione al lavoro. Dovrebbe analizzare se il lavoro che svolge o intende svolgere lo realizza completamente e se  gli permette di esprimere tutte le proprie abilità potenziali. Se al dipendente "signor Rossi" sfiora il dubbio che possa dare al mondo intero qualcosa di più, sarà meglio che prenda in considerazione l’idea di cambiare professione e dedicarsi ad una nuova attività. 
Il suggerimento più saggio è, per tutti i dipendenti, quello di avvicinarsi ad un'attività parallela al proprio lavoro principale in modo graduale.

Per chiunque volesse è possibile richiedere l'intero primo capitolo del libro completamente gratis e senza impegno per una valutazione. Chiedere all'editore o direttamente a questo blog.
Grazie per l'attenzione 



giovedì 23 settembre 2010

E' sicuro avere un lavoro dipendente?

Quando ero piccolo, mia madre era solita ripetermi in continuazione una solfa che doveva imprimersi a forza nei substrati del mio inconscio.
Mi diceva continuamente che dovevo preoccuparmi, una votla divenuto adulto, a farmi una posizione e trovare un posto fisso.
Le frasi erano diverse, i modi erano vari e i risultati altalenanti. Ma il concetto di fondo era quello.
Mia madre diceva quelle cose nel mio interesse, cercando di insegnarmi qualcosa che sarebbe stata utile per me.

La società umana è un contesto strano perchè una volta trovata una soluzione, che diventa una regola di vita, spesso muta a tal punto che la regola valida fino a solo pochi anni prima diventa in un primo istante inutile e successivamente dannosa.

La società umana ha nel fattore cambiamento uno dei suoi presupposti. E se centinaia di anni fa i mutamenti era nell'ordine di secoli, dopo i mutamenti sono diventati dell'ordine di decine di anni e adesso anche di soli pochi anni.

Il lavoro fisso aveva il vantaggio di conferire sicurezza. Adesso questo vantaggio è stato azzerato dalle problematiche di immobilità che esso comporta.
Non è possibile parlare di questa cosa parlando per astrazioni o generalizzazioni. Non staremo a dire tutti i posti fissi, tutti i lavori da dipendente.....
Capite che la cosa è stupida in se. Credo che sia evidente il senso del discorso.

Oggi come oggi, è crollato l'assunto che avere un lavoro dipendente sia sicuro. Forse Può essere stato vero in passato in questa nostra Italia. Forse negli anni '50, '60, '70 e '80. Un lavoro come statale, come dipendente pubblico o delle forze armate forse anche oggi garantisce determinati vantaggi. Ma probabilmente questi vantaggi e questa sicurezza è inversamente proporzionale all'anzianità di servizio. Chi inizia oggi in questi lavori ha sicuramente la scena meno favorevole rispetto a chi è già lì da tempo.

Ma sicuramente avere un contratto di assunzione a tempo indeterminato avrebbe bisogno, come minimo, di un restyling del nome. 
A tempo indeterminato era inteso fino a qualche anno fa come infinito. O per lo meno, fino alla propria pensione o alla propria morte. A volte le cose coincidono ma questo è un altro discorso.....
Io direi che la frase a tempo indeterminato debba essere sostituita da ASSUNTO A STABILITA' INDETERMINATA.
Un assunto oggi come oggi è totalmente in balia degli eventi.
La sua ditta potrebbe chiudere, potrebbe trasferirsi, potrebbe essere oggetto di giochi di speculazione finanziaria, borsistica o di clientelismo politico. La ditta potrebbe metterlo in esubero, pre-pensionamento, cassa integrazione e via dicendo. Dall'oggi al domani. Senza che, necessariamente, questo significhi che il prodotto o servizio della ditta sia diventato non richiesto o abbia subito un decremento dell'interesse.
Ormai non si può più dire che chi chiude lo fa perchè sta andando male.
Quante aziende italiane stanno licenziando pur andando bene o talvolta benissimo? Pur se i loro prodotti continuano ad avere successo ed essere richiesti dal mercato?
Quanto made in italy viene semplicemente localizzato altrove? Possiamo chiamarlo sempre made in italy?
Ma questa è un'altra domanda. E un altro post.

Oggi come oggi non è minimamente sicuro avere un lavoro dipendente. Come non è sicuro mettersi in proprio.
Siamo in una jungla e le leggi brutali e spietate della lotta alla sopravvivenza stanno riprendendo il sopravvento sul concetto di società civile. Qualcuno applaude questo. Io non applaudo questo perhcè questo inbarbarimento ci viene politicamente venduto come apertura dei mercati, come globalizzazione e come aumento della produttività.
E non scrivo queste cose cercando di difendere in modo egualmente politico il vetusto discorso delle conquiste sindacali e robe simili. Chi conosce il mio pensiero sa quanto sono distante dall'uso politico e demagogico di queste conquiste sociali.
La lotta per la sopravvivenza è qualcosa di duro. Non ci si può dimenticare di questo.
L'essere umano ha deciso di creare delle società per sopravvivere meglio.
Nel fare questo è avanzato lungo la linea, diventando sempre più civile e sempre più intrecciato con il suo prossimo.
Non si può pretendere di guadagnare denaro e quindi cibo, vestiario, riparo e qualità della vita, senza produrre.
A NESSUNO DOVREBBE ESSERE PERMESSO QUESTO.
Salvo aiutare chi si trova momemntaneamente in una condizione negativa dovuta alle normali avversità della vita e ha bisogno di sostegno da parte del gruppo sociale a cui si riferisce. E il concetto di momentaneamente è vario quanto varie sono le situazioni dei singoli. Ma il concetto rimane lo stesso.
Quale soluzione a tutto questo?

Ne riparleremo prossimamente in questa sede.
Grazie per l'attenzione.

venerdì 26 marzo 2010

Da cosa dipende avere un lavoro? Cerchiamo una risposta

Da cosa dipende avere un lavoro?
Passo indietro.
Che cos'è un lavoro?

Lo so, sto procedendo in modo asciutto e diretto. Forse gradireste dei preliminari ma oggi non sono in vena di mielosi corteggiamenti.
Subito al sodo!

Un lavoro è qualcosa che possiamo definire prendendo a prestito le definizioni della fisica.
Per la fisica il lavoro è forza x spostamento.
Nel mondo economico il lavoro forse non ha o non dovrebbe avere un tipo di definizione così puntuale ma ci interessa il concetto.
Il concetto è che il lavoro è qualcosa legato ad un'applicazione di energia per ottenere un mutamento.

L'economia si basa sulla creazione di mutamenti al fine di tenere in vita un sistema.
E il lavoro è il manifestarsi di questi mutamenti.
Quindi lavorare può essere ridefinito in modo piuttosto semplificato come applicarsi nella gestione di qualcosa che muta o si sposta in uno spazio.
Ancora più semplificato il lavoro può essere definito come la gestione di energia nello spazio.

Da cosa dipende avere e mantenere un lavoro?

Dipende dalla propria capacità e abitilità nel sapere quale energia occorre gestire, in quale punto dello spazio e ottenere un mutamento che abbia effetti positivi.
Semplificando, avere un lavoro dipende dalla propria capacità di SAPER FARE qualcosa.
E ottenere mutamenti con effettivi positivi per il sistema di riferimento.

Qualunque deviazione da questo presupposto di base, ci fa entrare nel caos delle ideologie politiche o nell'insensatezza di tutte quelle pseudo definizioni sociol-baristiche-the alle 5 che le persone a volte mettono in piedi.

Se vogliamo avere un lavoro, occorre:
1) capire il sistema di riferimento nel quale stiamo operando! (abitare a Milano non è la stessa cosa che lavorare a Il Cairo o a Crotone o a Maracalagonis)
2) conoscere quali capacità naturali abbiamo.
3) stimare le proprie risorse materiali, spirituali, culturali e di rapporti di amicizia abbiamo.
4) valutare quale tipo di prodotto/servizio siamo in grado di eseguire in questo momento.
5) decidere quali attività da noi conosciute sono affini ai 4 punti di cui sopra.
6) stilare una classifica delle attività da noi conosciute in base a quanto bene riescano ad amalgamare i primi 4 punti di cui sopra.
7) decidere quale attività intraprendere.
8) crearsi un'identità lavorativa (esempio: io sono un elettricista!) definendo il nome di quello che siamo, l'attività concreta di quello che dovremmo fare e l'oggetto/servizio che dovremmo ottenere.
9) stabilire in modo ancor più preciso che prodotto/servizio finale dobbiamo ottenere.
10) verficare nuovamente che quello che dobbiamo ottenere sia SCAMBIABILE con il sistema di riferimento come da punto 1. Per scambiabile intendiamo qualcosa che il sistema deve richiedere ciò che potremmo offrire o almeno deve poter desiderare in tempi stretti questo prodotto/servizio se glielo offriamo.

A questo punto sappiamo chi siamo e cosa vogliamo.
Ma più importante sappiamo che possiamo offrire. Ovvero COSA SAPPIAMO FARE.
Questo nostro "saper fare" avrà un prezzo ovvero ci sarà una valutazione di quanto il sistema vuol pagare quel "saper fare".

Come si può vedere alla fine la procedura è semplice e molti di voi l'hanno seguita in quasi tutti i gradini.
Eppure c'è una spinta confusionaria e disgregante che continua a far dubitare le persone riguardo a ciò.
Si introducono fattori non pertinenti, come la scorciatoia criminale oppure la collocazione parassitaria.

Ho cercato a volte di assumere persone per le mie aziende.
Offrivo dei posti di lavoro, guadagno e possibilità di crescita.
Eppure moltissimi venivano da me e prima ancora di capire cosa veniva loro proposto mi chiedevano "Quanto pagate?".
Al che io rispondevo: "Tu quanto vuoi guadagnare?". Risposta= punto di domanda grande grande!
Allora correggevo: "Quanto pensi di valere tu? Quale compenso pensi sia adeguato alla tua compentenza e professionalità?". Qui le risposte fioccavano.
12 euro l'ora oppure 1200 euro al mese o robe del genere.
Al che tornavo in sella e chiedevo: "Tu cosa sai fare?". E qui ritornava la nebbia.

Ma mi chiedo come si può cercare un lavoro se non si sa fare qualcosa di specifico?
Beh, qualcuno di voi obietterà che una persona va in giro e, se ha bisogno di lavorare, si mette a disposizione per fare quello che c'è da fare. La persona è volenterosa e impara in fretta.
Ho conosciuto questo tipo di persone e questo genere di lavori.
Non c'è da meravigliarsi che oggi lavorino e domani no. Non hanno identità. Non sanno ottenere qualcosa ma solo tramutarsi in un ingranaggio che funziona in quella macchina specifica.
Sparati fuori dalla macchina non servono più.

So che le mie parole sembrano dure. Lo sono. E mi sono sforzato di ammorbidirle parecchie.
E se qualcuno pensa che sia una persona a cui hanno fatto trovare sempre la pappa pronta o che non ha sgobbato in lungo e in largo fin da giovane, conoscendo ogni tipo di lavoro......
beh, costui si sbaglia.
Non dico di aver fatto tutti i lavori di questo mondo ma sicuramente i principali si.
Ho lavorato in campagna e ho raccolto frutta. Ho lavorato come operaio edile e come caricatore di camion. Ho fatto il camionista e il cameriere. Il commesso e il venditore porta a porta.
Ho fatto l'imprenditore e il consulente aziendale.

Da cosa dipende avere un lavoro?
FIRST da una visione chiara delle cose e SECOND dal saper essere bravi a fare qualcosa di concreto che possa essere collocata sul mercato come fattore di scambio.
Alla prossima.

per Aspera ad Astra!

giovedì 25 marzo 2010

Da cosa dipende avere un lavoro?

Ciao a tutti,
e grazie per essere qui.
Come annunciato ieri, ho deciso di riprendere questo percorso insieme a voi nel mondo del denaro e della cose che vi stanno attorno.
Cioè lavoro, economia, finanza, risparmi, efficienza, managerialità, idee, marketing e chi più ne ha ne metta.

Lo riprendo insieme a voi con grandi sogni.
Lo riprendo insieme a voi desideroso di imparare ancora e sempre di più.
Come consulente aziendale ho seguito parecchie persone nei miei anni di lavoro e parecchie aziende.
Ho spaziato dalla semplice consulenza sulle campagne di marketing o promozionale, alla riorganizzazione di una struttura fino alla semplice consulenza fiscale o finanziaria.
Negli scorsi anni ho tenuto parecchie conferenze sull'argomento. Mai che ci fossero molte persone, questo lo ammetto ma.........

Il concetto di fondo è che ho sempre IMPARATO tanto. E ho sempre cercato di tenere conferenze, corsi o consulenze con quasi l'unico intento di IMPARARE.
Dico quasi perchè per un pezzo c'era anche il desiderio di portare a casa qualche soldo con cui pagarmi la spesa e l'asilo di mio figlio. Questo mi pare naturale.

Ma ribadisco che non sono mai stato guidato dall'intento di INSEGNARE qualcosa a qualcuno. Certo, questo, di tanto in tanto, avviene. Non lo si può impedire.
Ma il processo di apprendimento è personale. Non è un travaso da un contenitore all'altro.
Il processo di apprendimemento è attivo e gestito da chi apprende. Non da chi trasmette qualche informazione.
Io ho cercato solo di condividere qualcosa con qualcuno e mai di insegnare.
E condividendo è accaduto sovente che io imparassi e chi ascoltava no.

Se proprio dobbiamo mettere in luce una possibile differenza fra me che dicevo qualcosa e chi ascoltava è sicuramente questo fatto: IO ERO LI' PER IMPARARE. Molti degli intervenuti no.

Perchè?
Perchè molti pensano già di sapere. E questo è il primo e più grande ostacolo all'apprendimento.
Lo studente che pensa di sapere già tutto non apprendere niente e non si muoverà di un centimetro dalla sua postazione.

Quindi eccomi qui a cercare di imparare ancora nuove cose con voi.

A parte ciò, mi chiedo e vi chiedo: da cosa dipende avere e mantenere un lavoro?
Per quanto moltissimi di noi siano subito corsi a schiacciare il pulsante A che dice che "DIPENDE DAGLI INCOZZI E DAGLI APPOGGI", io direi che molte altre cose debbono essere dette a riguardo.
Ma visto che voglio scrivere post e non romanzi, vedremo la cosa alla prossima puntata.

Grazie mille dell'attenzione.

per Aspera ad Astra!
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