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lunedì 24 gennaio 2011

Come faccio ad iniziare un nuovo lavoro? (1a parte)

L'italiano medio è, di questi tempi, preoccupato per una quantità di fatti per la cui conta non bastano le dita di una mano. E neppure le dita dei piedi. Forse sommando tutte le dita di mani e piedi di tutti i suoi familiari + qualche volenteroso vicino potremmo avvicinarci alla realtà.
Il lavoro è certamente il PROBLEMA della stragrande maggioranza degli italiani. E per stragrande intendiamo circa il 60% della popolazione. Del restante 40% possiamo solo dire che il 18% è fatto da persone minori di 18 anni mentre il 20% ha più di 65 anni. Rimane un 2% per cui, a causa della propria agiatezza, il lavoro non rappresenta un problema.


L'Italia attraversa, dal nostro punto di vista, la peggiore crisi sociale da 35 anni a questa parte, da quel periodo chiamato anni di piombo in cui le tensioni sociali e classiste interne premevano contro lo stato dello stivale da una parte mentre la crisi energetica mondiale premeva dall'altra.
E, sempre dal nostro punto di vista, sebbene certi problemi siano, in un certo senso, ugualmente risolvibili la situazione si presenta peggiore rispetto a quei momenti degli anni '70 perchè meno vive sembrano che siano la forza e la dignità degli italiani.

Il lavoro rappresenta un buon 65/70% del tempo settimanale di cui siamo dotati. In molti casi il tempo passato a lavorare è anche maggiore. In ogni caso moltissimi fattori individuali e familiari dipendono dal lavoro.
Perchè?
Per quanto ci piace atteggiarci ad essere evoluti, possiamo solo dire che lo scopo principale di ogni essere umano è quello di garantirsi la sopravvivenza. E che ne risulta di concetti come l'etica, la spiritualità, la creatività, l'amore e così via?
Sono forse da dimenticare? Certamente no e il fondamento del nostro pensiero colloca questi fattori ad un rango di importanza maggiore rispetto alla materialità immediata. 
Ma rimane il fatto che la spinta innata di ogni essere umano è indiscutibilmente volta a cercare la propria sopravvivenza, comprendendo in quiest'ambito anche la sopravvivenza della propria famiglia e discendenza così come la sopravvivenza del proprio gruppo sociale.
Il moderno impegno nel lavoro diventa così qualcosa di simile alla lotta per la sopravvivenza del resto degli animali o dei nostri antenati meno civilizzati. Si usciva al mattino presto per procurarsi cibo e strumenti utili per se e per i propri figli. Si andava per i campi o per la jungla spinti da un istinto a procurarsi il sostentamento consci che là fuori è una lotta per la sopravvivenza.
Quanti di noi escono di casa con questa sensazione?

Cambiare lavoro è, secondo questo modo di vedere le cose, solamente un modo per reagire ad un improvviso calo di fonti di sopravvivenza. Se fossimo dei cavernicoli o una razza primitiva potremmo trovarci, ad un certo punto, ad osservare la nostra fonte d'acqua prosciugarsi o diventare poco sana. Potremmo assistere ad una siccità persistente che limita le risorse nuttizionali oppure essere colpiti da un flagello meteorologico tale per cui la ricerca di un nuovo posto risulta necessario.
Nessuno dice che sia bello dover cambiare lavoro nè che questo passaggio debba essere svolto canticchiando o semplicemente stringendo le spalle in una sorta di qualunquismo professionale.
Di certo ogni economia attraversa fasi e prima del disastro e della chiusura di un'azienda, di un'area o di un mercato vi erano stadi intermedi in cui si poteva intervenire con cure meno drastiche.

Ma, per quanto certi problemi è sempre meglio risolverli a livello globale o di gruppo, il discorso che possiamo mettere adesso in pista riguarda l'individuo.
Se il lavoro che facciamo adesso non funziona, che si fa? Se non ci garantisce i redditi che desideriamo, se non ci da la soddisfazione che riteniamo minima e rispettosa della nostra professionalità......
Ne parleremo nella seconda parte.
Grazie per l'attenzione.

venerdì 21 gennaio 2011

Le tasse: è giusto pagarle? (3a e ultima parte)

Concludiamo questa carrellata cercando di tirare le somme di quanto ci siamo detti.
In una nazione in cui vi è la necessità di servizi di utilità pubblica, tutti i cittadini sono tenuti a contribuire al costo complessivo di questi beni. 
Laddove non sia possibile stimare in quale parte questi servizi portino utilità al singolo cittadino e laddove si possa stimare che oltre l'utilità effettiva ci sia un'utilità potenziale, il costo dei servizi deve essere pagato da tutti i cittadini.
Citiamo il servizio di ordine pubblico svolto dai corpi di polizia.
Non vi è possibilità di stabilire in quale misura un cittadino fruisce di questa utilità. Sapere che la propria città è sicura e un corpo organizzato di polizia vigila su tutti non è suddivisibile. Su ognuno di noi ricade l'utilità potenziale di questo servizio sociale.
Lo stesso dicasi della scuola.
Il fatto che la scuola esiste e sia a disposizione di tutti è un'utilità potenziale per qualunque cittadino. Poco importa se abbiamo figli che vanno a scuola o meno. Potremmo averli e quindi potremmo usufruire di questo servizio. D'altronde questo, più che un costo, è anche (E SOPRATTUTTO diremmo noi!) un investimento e quindi uno stato (provate a dirlo all'attuale governo in carica se ci riuscite) non dobrebbe MAI e dico MAI lesinare soldi da devolvere alla costruzione dei pilastri del futuro ovvero la formazione scolastica delle nuove generazioni.

E' giusto quindi pagare le imposte!
Ed è giusto pagare anche le tasse cioè pagare per avere un servizio pubblico di utilità individuale.
Parliamo di pagare le tasse sui rifiuti, sulle prestazioni sanitarie non di emergenza e non indinspensabili e su tutte le concessioni che l'ente pubblico fa ad un individuo a discapito dell'intera comunità.
Sapevate, ad esempio, che lo stato italiano si fa pagare pochissimi soldi (veramente pochi) per dare alle imprese che imbottigliano l'acuqa minerale la concessione allo sfruttamento delle falda acquifere o delle fonti del nostro territorio?
Perchè queste aziende dovrebbero pagare poco per vendere un bene che è di tutti? Teoricamente l'acqua potabile dovrebbe giungere in tutte le case e ognuno dovrebbe pagare una quota per il consumo. Ma questa quota dovrebbe servire solo a coprire i costi per la fornitura del servizio e non comprendere fattori di lucro.
Nel prezzo della minerale che comprate ogni giorno, fatto 100 il prezzo di un litro di quell'acqua, il costo puro per la raccolta e imbottigliamento dell'acqua è molto, molto piccolo. Diciamo che costerà 1 o forse meno. Il resto sono costi di trasporto (certo se ci beviamo l'acqua che arriva dall'altra parte d'Italia), di pubblicità e puro lucro.

Esistono sicuramente delle tasse che non sono giuste in se e tasse che sono inappropriate come meccanismo di pagamento. Citiamo nel primo caso la tassa sul possesso di un televisore. Innanzitutto è una tassa subdola perchè spacciata per qualcosa che non è. La chiamano "canone RAI" ma non è un costo di abbonamento per la visione dei canali Rai. Piuttosto è una tassa sul possesso di un apparecchio radio-televisivo.Hai una tv o una radio a casa? Devi pagare! E a niente serve dire o argomentare che uno non guarda la Rai!
Forse potremmo anche accettare l'idea che si debba pagare per possedere uno strumento elettronico. Forse.
Sa molto di balzello medioevale (non dimentichiamo che questa tassa è stata creata in periodo fascista quando avere una tv o una radio era un lusso per ricchi!) ma se il costo fosse molto contenuto, potremmo anche accettarlo. Ho un bene di lusso e pago per il suo possesso. In cambio lo stato mi fornisce un servizio pubblico di informazione e formazione. Cioè mi mette in onda dei contenuti per cui ha un senso la tassa.
Ma se guardiamo i motivi per cui dobbiamo pagare la tassa sul possesso di una TV non si capisce cosa stiamo pagando.
Forse gli stipendi di tutti quelli che lavorano in Rai? E perchè sono tutte figure necessarie per i servizi di cui parlavamo prima? Ovviamente no, perchè la Rai svolge il suo servizio di utilità pubblica in misura molto molto marginale. Talmente marginale che molti strumenti di Internet oggi hanno soppiantato la necessità che la Rai esista. Su internet possiamo andare a visionare gli atti del parlamento, i decreti del governo, avere risposte, enciclopedie, sapere news da tutto il mondo, programmi culturali e di formazione e documentari a go-go.
Insomma si è capito l'antifona.

 Alcune tasse sono giuste ma il loro meccanismo di pagamento è scorretto. Il classico esempio è la tassa sui rifiuti. Che si paga in base alle dimensioni della propria casa o dal tipo di attività imprenditoriale che si svolge.
Solo una minima parte della tassa dovrebbe essere fissa e ripartatita in modo uguale per tutti. Il resto (la gran parte) dovrebbe essere pagata in proporzione alla produzione effettiva di riufti e non a quella potenziale.
Qualcuno dirà che è difficile farlo ma la difficoltà nella misurazione della produzione di rifiuti non è una scusante.
Occorre impegno e sicuramente un cambio drastico delle abitudini di vita ma è possibile, come dimostrato laddove piccole ma volonterose amministrazioni locali hanno provato soluzioni alternative.

In Italia attualmente il peso fiscale è pari a più della metà dei guadagni per gli autonomi e un pò meno della metà dei guadagni per i dipendenti. Questo mediamente. Il peso fiscale italiano è uno dei maggiori d'Europa e dell'intero pianeta, fatti salvi i paesi tipo "Repubblica delle Banane"- I servizi che lo stato italiano eroga sono immensamente al di sotto della soglia minima di decenza in molti settori. Lo stato prende più di quello che rende al cittadino.
E poi ci meravigliamo se gli italiani non vogliono pagare? Gli italiani onesti, intendiamo.
Perchè oltre questi vi sono gli italiani disonesti, e sono tanti, tantissimi, che non pagherebbero neanche se lo stato italiano e i suoi enti rendessero come servizio più di quanto prelevano. Costoro stanno troppo bene perchè vivono in un contesto in cui si sentono anche giustificati nel non pagare e in cui si confondono con le persone per bene vessate dal fisco.

Quale è la strada? Recuperare soldi dall'evasione fiscale? Solo in parte. Quello va fatto ma lo stato italiano (e quindi tutti noi che lo costruiamo collettivamente) deve dimostrare un cambio radicale con il passato.
Dovrebbe decidere di dare una svolta, abbassando il peso fiscale sulle spalle dei cittadini onesti.
Si inizia dall'abbassare il livello delle imposte e dal cancellare l'esistenza di molte tasse inique o esose.
Questo comporterà la mancanza di fondi per far funzionare le cose. Sicuro. Ma da lì si inizia, altrimenti non ne usciamo più.
E gli italiani, già abituati ad un pessimo servizio pubblico generale, se ne faranno una ragione sapendo che questo sarebbe solo provvisorio.
Meno tasse significa maggiore prosperità per i cittadini e alla fine per lo stato, che ritroverebbe i denari per far funzionare i suoi servizi. Non puoi tassare uno che non ha niente o ha poco. Il 50% di poco è poco. Il 25% di molto è molto. Non so se rendo l'idea.
Ma di possibili soluzioni all'attuale sistema fiscale, parleremo in un prossimo articolo.

Grazie per l'attenzione.

giovedì 20 gennaio 2011

Le tasse: è giusto pagarle? (2a parte)

Nel precedente articolo, abbiamo già illustrato che qualcosa che non va nel pagamento dei tributi (parliamo del nostro paese cioè l'Italia) c'è.
Esamiamo meglio questo concetto.

Se un gruppo di persone vive insieme ci sono dei costi comuni per dei servizi che non è possibile dividere in modo specifico per ognuno dei membri.
Se in un villaggio occorre costruire una diga, un muro di cinta questo è un bene a utilità collettiva. Non si potrà dire che questo ne beneficia più di quell'altro.
Se parliamo di uno stato, servizi pubblici come la polizia, la magistratura e via discorrendo servono proprio per far funzionare le cose.
Esistono paesi, ad esempio gli Stati Uniti, in cui certi servizi non vengono considerati pubblici come la sanità.
In Italia la sanità è pubblica e il servizio è esteso in automatico per tutti i cittadini italiani e non solo. Negli Stati Uniti sei coperta da protezione e cure sanitarie solo se hai pagato la copertura assicurativa.
Potremmo discutere quale delle 2 opzioni sia giusta ma non è questo il momento e ci porterebbe troppo fuori tema.
Sta di fatto che un servizio pubblico ha un costo e qualcuno lo debba pagare.
L'opinione di questo blog è che tutti i cittadini di uno stato debbano contribuire ad un servizio pubblico ma che occorra creare dei meccanismi di ri-equilibro per evitare che ci siano persone che usufruiscono del servizio in maniera eccessiva e che ci siano persone che non usufruiscono di nessun servizio pagando profumatamente.

Quindi è giusto pagare le tasse e le imposte? Certo, e non ci si dovrebbe neppure porre il problema.
Qualcuno parla di evitare di pagare le imposte come segno di disubbidienza civile.
Può essere un sistema ma solo quando è correlato da un'effettiva volontà di voler cambiare le cose. Penso che la cosa abbia un senso solo se accompagnata da effettive e continue azioni concrete che vadano a ribadire alla collettività l'ingiusto squilibrio delle imposizioni fiscali. Si, insomma, cortei, manifestazioni, forum, passaparola, associazionismo, comunicati, spazi web esplicativi, incontri con le autorità politiche e le altre associazioni civili. Quindi non solo non pagare le tasse e le imposte.

In Italia, come praticamente ogni altra parte del mondo, esiste il principio della contribuzione fiscale proporzionale al reddito in misura crescente. Ovvero più guadagni e più alta è la percentuale di quanto tu devi versare al fisco. A prima vista il concetto che i ricchi paghino più tasse (consentitemi questa semplificazione verbale per non essere pesante nell'esposizione) sembrerebbe un concetto molto democratico ed equo.
Ma sovente quello che sembra giusto ed equilibrato sulla carta non lo è nella realtà.
La realtà, quello spazio in cui le cose avvengono per davvero, è qualcosa di estremamente complesso. Non è infrequente che fattori molto importanti nella scena sfuggano alle verifiche e vadano a rovesciare l'esito delle soluzioni proposte.
Che chi più guadagna, più debba pagare i costi dei servizi collettivi potrebbe (dico potrebbe perchè qualche altra cosa da aggiungere vi sarebbe) essere qualcosa di equo e socialmente corretto se questo avvenisse in un contesto di sistema economico fondato in misura altrattanto precisa sull'equità e sulla giustizia sociale.
Una società in cui i redditi delle persone provenissero dalle loro abilità e capacità, dal loro talento, inventiva, tenacia e persistenza. Una società in cui non ci fossero barriere lobbistiche a che le persone meritevoli potessero giungere a ricoprire posti e ruoli coerenti con il loro bagaglio professionale.
Il concetto che chi guadagna di più, di più debba essere tassato è fondamentalmente di stampo giacobino prima e marxista poi. Sembrerebbe corretto prendere a chi ha di più ma vorrei sottolineare un concetto fondamentale.

Nella società esistono delle persone che, per vitalità, intraprendenza e abilità, riescono a portare avanti le cose. Creano società imprenditoriali, aprono fabbriche negozi o creano prodotti o inventano servizi. Migliorano il mondo, creano produzione. Permettono a molti di avere un lavoro. Ci sono gli artisti che grazie al loro lavoro creano un futuro per la loro società. 
Una società vive e prospera sul lavoro delle persone etiche e attive. Una società avvizzisce a causa dei parassiti, dei disonesti o delle persone che non fanno niente.
Esiste una regola generale che una società ottiene ciò che premia o privilegia mentre vede allontanarsi ciò che combatte o penalizza. Premiare le persone produttive, le attività etiche e le iniziative creative porta a maggior produzione, etica e creatività. Penalizzare il parassitismo e la disonestà, porterà ugualmente a comportamenti virtuosi. 
Ora nessuno intende dire che è utile abbandonare le persone indigenti o distruggere chi non fa niente. La regola è rivolta a dei comportamenti e non a degli individui.
Penalizzare il parassistismo o il guadagno tramite attività distruttive, non significa che si porti avanti una crociata morale contro chi lo sta facendo.
Occorre avere rispetto per tutti i lavoratori e mai e poi mai questo blog assumerà posizioni di elogio tout court del capitalismo contro i lavori meno pagati e più umili. Anzi.
Il capitalismo è un sistema che premia il parassitismo e penalizza la creatività e il talento.
Fare i soldi con i soldi non ha nessun prodotto di valore da distribuire nella società.
Il capitalista non è l'imprenditore che mette su l'azienda. Il capitalista è qualcuno che lavora con i capitali.
Marchionne è un capitalista come la famiglia che lo ha messo lì, per fare un esempio.
Un manager che dirige un azienda che guadagna centinaia di migliaia di volte lo stipendio di un operaio non è qualcosa di equo. Esiste un'asimmetricità enorme anche nel meccanismo di premio del lavoro di costui.
Ma anche questo adesso ci porterebbe troppo fuori tema. E non preoccupatevi che torneremo sull'argomento.

Concludiamo l'articolo (rimandando la conclusione di tutto questo discorso alla terza e ultima parte) dicendo che la grande riforma fiscale sarebbe in realtà la riforma del meccanismo delle entrate di una persona.
Un economista e professore universitario di nome Vitaletti propose, tra le sue varie proposte, una diminuzione del peso delle imposte sul reddito a favore di un aumento del peso delle imposte sul consumo. Ovvero più soldi in busta paga con IRPEF più leggere se non quasi nulle e costi maggiori sull'IVA, con scaglioni differenziati in base all'uso necessario o voluttuario dell'oggetto.
In questo modo tutti avrebbero guadagnato di più e i soldi per i servizi pubblici sarebbero arrivati prelevandoli in maniera volontaria (chiunque può decidere di spendere in un oggetto o risparmiare) dal consumo.
Questo avrebbe stimolato la produzione e il risparmio e penalizzato il consumo (o sperpero in certi casi). Soprattutto per i beni di lusso.
Ovvero quei beni che solo i ricchi possono comprare, creando nuovamente una sorta di giustizia sociale e fiscale.
Ma l'articolo si è fatto lungo.
Vi ringrazio per l'attenzione e vi aspetto nella terza parte.

martedì 18 gennaio 2011

Le tasse: è giusto pagarle? (1a parte)


Tasse, tasse, tasse.
Tasse, tasse, tasse......

Questa parola sta diventando un incubo per tutti. Per i ricchi ma anche per i poveri. Per questi ultimi, in teoria, non ci dovrebbero essere problemi, in quanto chi non ha denaro non dovrebbe contribuire.
Ma a conti fatti, sono proprio le fasce più in difficoltà finanziaria a subire maggiormente la vessazione di un sistema che di equo e di razionale ha ben poco.
Qualche precisazione, innanzitutto:

TASSA: la parola indica un pagamento che deve essere fatto ad un ente pubblico per la fruizione di un servizio. Prevede quindi il meccanismo di scambio: qualcosa di definito (tassa) per qualcosa di specifica e immediata fruibilità (servizio).

IMPOSTA: la parola indica un pagamento che deve essere fatto allo stato o altro ente amministrativo pubblico senza alcuna controprestazione diretta ma che è ciononostante obbligatorio e legato, per quanto riguarda l'ammontare, alle proprie entrate.

Nel linguaggio comune parliamo di tasse e imposte spesso senza una distinzione di fondo e ci riferiamo con esse a tutti i tributi (soldi dati all'ente pubblico) a prescindere dalla loro natura.
Ma eguagliare queste 2 parole causa molti danni, anche se non immediatamente visibili.

La tassa è una sorta di prezzo del servizio pubblico. Non è molto divera dal pagamento di un costo di un qualsiasi servizio il mercato offra. Vuoi andare dal parrucchiere? Costa 16 euro (o 20 o quel che l'è!). Vuoi avere il cellulare in abbonamento? Costa 5,16 euro al mese (o quel che l'è!).
La tassa, nel momento in cui la fruizione del servizio che compra fosse libera, è qualcosa di assolutamente democratico e giusto.
Salire su un autobus municipale comporta il pagamento di un costo. Perchè gli autobus non nascono nei campi, perchè chi li guida non è lì per la gloria, perchè i motori consumano carburante come qualsiasi altro mezzo.
Vorrei però apportare una precisazione: il costo della corsa dell'autobus dovrebbe essere formato da 2 componenti. Una (diretta) pari al costo di mercato di una corsa come se il servizio fosse erogato da una qualsiasi impresa privata. Un'altra componente (indiretta) pari al valore sella potenzialità di servizio offerta.
E su questo permettetemi di spendere 2 parole:

Se io abitassi in una città di 200.000 abitanti, ipotizzerei che fosse per me possibile spostarmi con mezzi pubblici per la città. Poi mi compro l'auto e non uso mai il mezzo pubblico. Ma il mezzo pubblico è sempre lì. Se la mia auto si guasta, io so di poter contare sulla linea 10 che passa sotto casa mia. Se non uso l'autobus, non pago niente. Ma in realtà un servizio lo sto sempre ottenendo. Anche se è potenziale. Ma quella potenzialità ha un costo. Tant'è che senza la ricompensazione di questo costo (del servizio potenziale) non vi sarebbe la convenienza economica a gestire la rete di collegamenti pubblici.
Questa cosa l'ho scoperta anni fa nel mio paese quando, viaggiando spesso dallo stesso ad un paese vicino, constatai che sul mezzo vi erano sempre pochissimi passeggeri. L'autobus era grande ma viaggiava vuoto.
Siccome la compagnia era privata mi chiesi come potevano fare a sostenere le spese in quanto era evidente che l'autobus viaggiasse sempre in perdita.
Investigai e venni a scoprire che la regione Sardegna sosteneva la compagnia privata con un finanziamento annuale per garantire che la tratta fosse coperta e attiva. L'ente pubblico sosteneva un costo per fornire a dei suoi cittadini la possibilità di avere dei collegamenti fra paesi altrimenti abbandonati. 
Servizio pubblico. Fondamentale. In una società che si definisce civile, un elemento portante della convivenza in gruppo.
Con quei soldi la compagnia privata riusciva a gestire la linea.

Veniamo al costo del biglietto dell'autobus. Da una parte abbiamo la prestazione di un servizio e dall'altra l'offerta di un servizio pubblico o, meglio, di utilità pubblica che ha un valore anche se non viene usato dal singolo cittadino. La prima componete viene pagata con una tassa (il costo del biglietto), la seconda con un'imposta (valore potenziale di servizio).
Ogni cittadino deve contribuire alle utilità pubbliche potenziali.

E' giusto pagare le tasse (meglio i tributi)? E' giusto, e la cosa è eticamente ed economicamente indiscutibile.
E' giusto pagare QUELLE tasse, riferendoci a tasse e imposte che lo stato italiano impone (appunto) ai suoi cittadini?
Beh, per quanto sarà il prossimo post a completare questa risposta, fatemi anticipare che
NO, non è GIUSTO pagare le tasse e le imposte con cui lo stato italiano vessa (dal verbo vessare: tormentare, affliggere, opprimere insistentemente con maltrattamenti materiali e morali) i suoi cittadini.
Non vi è proporzione fra quanto pagato e i servizi ricevuti e non vi è giustizia sociale nel meccanismo con cui i cittadini sono chiamati a contribuire.

Il nostro non è un invito alla dis-onestà. E' un invito alla civiltà e alla trasparenza. Al comune e logico vivere civile in cui responsabilità e onori vengano distribuiti secondo un criterio equo.
Ma di questo parleremo nella seconda parte del post.

Grazie per l'attenzione.

giovedì 13 gennaio 2011

Come migliorare la nostra efficienza per guadagnare più denaro


Per guadagnare denaro occorre essere efficienti. Incrementare l’efficienza di qualcuno è il miglior metodo per aumentare il valore complessivo della sua produzione. 

Per incrementare l’efficienza di qualcuno occorre capire in che modo o in quali aree è diventato inefficiente e porvi rimedio.


E’ facile estrapolare i modi in cui qualcuno può non essere efficiente. Le situazioni possibili sono:
  • ·         non essere pienamente capace di osservare il proprio ambiente diretto e indiretto in modo da trarne informazioni utili e segnali di potenziali opportunità e potenziali pericoli.
  • ·         non essere pienamente capace di analizzare i dati ottenuti in modo da elaborare le corrette decisioni o strategie.
  • ·         non essere pienamente capace di tramutare in azione le decisioni o strategie adottate.
Le categorie di cui sopra sono ovviamente graduali e ci rivelano vari spettri di efficienza. Potremmo avere qualcuno molto abile nello scorgere opportunità o potenziali cambiamenti all’orizzonte, ma incredibilmente deficitario nel prendere delle tempestive decisioni in quanto continuerebbe ad essere indeciso sul fare o meno la cosa.

Oppure potremmo trovare una persona molto decisa e molto abile nell’attivarsi, la quale, tuttavia, possedendo una capacità percettiva decisamente bassa, opera su informazioni scadenti o sbagliate. Le combinazioni sono molteplici.
Il primo esercizio da attuare è isolare tra le seguenti 3 aree  quella debole e suscettibile di rinforzo. Le cure da attuare sono diverse a seconda di quale sia l’area da corroborare.
  • ·         se l’area da migliorare è quella della percezione, occorrerà capire se le nostre linee di comunicazione sono occluse o se le fonti da cui ci procuriamo le informazioni sono adeguate e sufficientemente corrette.
  • ·         se l’area da migliorare è la sfera decisionale, occorrerà capire se soffriamo di una carenza di dati oppure se le nostre decisioni sono subordinate ad altrui voleri o ad idoli mentali sub-coscienti (pensieri irrazionali di origine ignota, promesse fatte anni prima legate a situazioni ora inesistenti, etc.).
  • ·         se l’area da migliorare è la sfera dell’azione, occorrerà comprendere se gli errori passati ci pesano ancora così tanto da renderci incerti nell’agire anche quando abbiamo le idee chiare.
Ricordiamoci che una persona potrebbe avere difficoltà anche all’interno di più di un’area. Quindi la prima cosa da fare è essere onesti con se stessi e dare un voto a queste tre macroaree della nostra efficienza personale. Evitiamo di pensare, come purtroppo fin troppo spesso accade, che solamente “imbottendoci” di informazioni, di lettura di libri e corsi, diventeremo tutti perfetti uomini (o donne) di successo.

Naturalmente è utilissimo avere maggiori informazioni e maggiori conoscenze, ma queste renderanno qualcuno di “successo” solo se si avrà la capacità di decidere in modo rapido e soddisfacente e si avrà la capacità di tradurre in azioni le proprie decisioni.

A cura di Antonello Mela
Autore di La Legge del Denaro
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