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martedì 18 gennaio 2011

Le tasse: è giusto pagarle? (1a parte)


Tasse, tasse, tasse.
Tasse, tasse, tasse......

Questa parola sta diventando un incubo per tutti. Per i ricchi ma anche per i poveri. Per questi ultimi, in teoria, non ci dovrebbero essere problemi, in quanto chi non ha denaro non dovrebbe contribuire.
Ma a conti fatti, sono proprio le fasce più in difficoltà finanziaria a subire maggiormente la vessazione di un sistema che di equo e di razionale ha ben poco.
Qualche precisazione, innanzitutto:

TASSA: la parola indica un pagamento che deve essere fatto ad un ente pubblico per la fruizione di un servizio. Prevede quindi il meccanismo di scambio: qualcosa di definito (tassa) per qualcosa di specifica e immediata fruibilità (servizio).

IMPOSTA: la parola indica un pagamento che deve essere fatto allo stato o altro ente amministrativo pubblico senza alcuna controprestazione diretta ma che è ciononostante obbligatorio e legato, per quanto riguarda l'ammontare, alle proprie entrate.

Nel linguaggio comune parliamo di tasse e imposte spesso senza una distinzione di fondo e ci riferiamo con esse a tutti i tributi (soldi dati all'ente pubblico) a prescindere dalla loro natura.
Ma eguagliare queste 2 parole causa molti danni, anche se non immediatamente visibili.

La tassa è una sorta di prezzo del servizio pubblico. Non è molto divera dal pagamento di un costo di un qualsiasi servizio il mercato offra. Vuoi andare dal parrucchiere? Costa 16 euro (o 20 o quel che l'è!). Vuoi avere il cellulare in abbonamento? Costa 5,16 euro al mese (o quel che l'è!).
La tassa, nel momento in cui la fruizione del servizio che compra fosse libera, è qualcosa di assolutamente democratico e giusto.
Salire su un autobus municipale comporta il pagamento di un costo. Perchè gli autobus non nascono nei campi, perchè chi li guida non è lì per la gloria, perchè i motori consumano carburante come qualsiasi altro mezzo.
Vorrei però apportare una precisazione: il costo della corsa dell'autobus dovrebbe essere formato da 2 componenti. Una (diretta) pari al costo di mercato di una corsa come se il servizio fosse erogato da una qualsiasi impresa privata. Un'altra componente (indiretta) pari al valore sella potenzialità di servizio offerta.
E su questo permettetemi di spendere 2 parole:

Se io abitassi in una città di 200.000 abitanti, ipotizzerei che fosse per me possibile spostarmi con mezzi pubblici per la città. Poi mi compro l'auto e non uso mai il mezzo pubblico. Ma il mezzo pubblico è sempre lì. Se la mia auto si guasta, io so di poter contare sulla linea 10 che passa sotto casa mia. Se non uso l'autobus, non pago niente. Ma in realtà un servizio lo sto sempre ottenendo. Anche se è potenziale. Ma quella potenzialità ha un costo. Tant'è che senza la ricompensazione di questo costo (del servizio potenziale) non vi sarebbe la convenienza economica a gestire la rete di collegamenti pubblici.
Questa cosa l'ho scoperta anni fa nel mio paese quando, viaggiando spesso dallo stesso ad un paese vicino, constatai che sul mezzo vi erano sempre pochissimi passeggeri. L'autobus era grande ma viaggiava vuoto.
Siccome la compagnia era privata mi chiesi come potevano fare a sostenere le spese in quanto era evidente che l'autobus viaggiasse sempre in perdita.
Investigai e venni a scoprire che la regione Sardegna sosteneva la compagnia privata con un finanziamento annuale per garantire che la tratta fosse coperta e attiva. L'ente pubblico sosteneva un costo per fornire a dei suoi cittadini la possibilità di avere dei collegamenti fra paesi altrimenti abbandonati. 
Servizio pubblico. Fondamentale. In una società che si definisce civile, un elemento portante della convivenza in gruppo.
Con quei soldi la compagnia privata riusciva a gestire la linea.

Veniamo al costo del biglietto dell'autobus. Da una parte abbiamo la prestazione di un servizio e dall'altra l'offerta di un servizio pubblico o, meglio, di utilità pubblica che ha un valore anche se non viene usato dal singolo cittadino. La prima componete viene pagata con una tassa (il costo del biglietto), la seconda con un'imposta (valore potenziale di servizio).
Ogni cittadino deve contribuire alle utilità pubbliche potenziali.

E' giusto pagare le tasse (meglio i tributi)? E' giusto, e la cosa è eticamente ed economicamente indiscutibile.
E' giusto pagare QUELLE tasse, riferendoci a tasse e imposte che lo stato italiano impone (appunto) ai suoi cittadini?
Beh, per quanto sarà il prossimo post a completare questa risposta, fatemi anticipare che
NO, non è GIUSTO pagare le tasse e le imposte con cui lo stato italiano vessa (dal verbo vessare: tormentare, affliggere, opprimere insistentemente con maltrattamenti materiali e morali) i suoi cittadini.
Non vi è proporzione fra quanto pagato e i servizi ricevuti e non vi è giustizia sociale nel meccanismo con cui i cittadini sono chiamati a contribuire.

Il nostro non è un invito alla dis-onestà. E' un invito alla civiltà e alla trasparenza. Al comune e logico vivere civile in cui responsabilità e onori vengano distribuiti secondo un criterio equo.
Ma di questo parleremo nella seconda parte del post.

Grazie per l'attenzione.

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