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martedì 7 giugno 2011

Come ottenere del denaro per iniziare una nuova attività - 1a parte

Per iniziare una qualunque attività commerciale o lavorativa, occorrono soldi.
Ovviamente sto iniziando questo post nel modo più accademico e professionale possibile. Non so se avete notato?
E' normale che dopo il mio sofisticato percorso accademico, in cui le tematiche economiche vengono analizzate con grande criterio scientifico tipico degli economisti, io trasmetta in questo blog questo mia inarrivabile sapienza in modo che praticamente nessuno comprenda quel che si (fa finta) di comunicare.
E' sempre la solita vecchia storia. La complessità dell'esposizione serve solo a ottere il risultato di confondere chi ascolta in modo che l'informazione venga recepita come DOGMA anzichè come comprensione.
E' il caso in questi giorni del dilemma referendario dell'acqua pubblica/acqua privata.
Ho sentito dissertare a lungo su questa dicotomia (vedere che anch'io so usare i paroloni) e tutte queste dissertazioni sono fatte a sproposito.
Non è detto che l'efficienza di un'organizzazione sia da porre in relazione con il tipo di proprietà, ovvero se è a gestione pubblica o a gestione privata.
Questa dicotomia è accademica e, per altro, secondo me sorpassata.
Sentivo a più riprese che "privato" era sinonimo di efficienza e prezzi più concorrenziali.
Onestamente questo "scientifico fatto" è basato su un cumulo di premesse che sono vere solo nelle pagine dei libri di economia politica.
Nella realtà vi sono altri fattori che non vengono presi in considerazione.
Ma tutto questo ci sta portando enormemente fuori rotta.

Come ottenere i soldi per iniziare una nuova attività?
In primo luogo occorre studiare molto bene l'idea che si intende realizzare.
Esistono una molteplicità di testi che insegnano come debba essere definito il cosidetto business plan.
Ora, visto che in vita mia ne ho preparati un pò, vorrei definire meglio i confini di utilità di un business plan.
Questo è, semplicemente, uno studio di fattibilità di un progetto o idea.
Il mettersi a tavolino per stendere un piano di fattibilità, costringe l'ideatore a mettere sotto esame critico la propria idea o progetto, sia in termini di validità assoluta che in termini di fattibilità finanziaria.
Questo è lo scopo del business plan.
Mentre è sbagliato pensare che questo piano debba essere un elogio alla perfezione numerica delle sue analisi o debba essere il deus ex machina che realizzerà il progetto.
Il bello e l'utile di un business plan è il percorso che si fa per realizzarlo, non il prodotto che si ottiene. Se il percorso non è fatto con criterio, il risultato, ancorchè completo e apparentemente ottimale, sarà inutile.
Quindi bisogna chiedersi se
1) la propria idea è valida.
2) se si hanno le concrete possibilità di realizzare finanziariamente questa idea.

Verificare se la propria idea sia valida non è qualcosa di semplice nè definitivo. Una buona idea è un concetto di massima che difficilmente si può tradurre in parametri numerici. Cosa è una buona idea?
I 2 ragazzi terribili che hanno inventato Google come potevano sapere che la loro idea (al tempo) fosse buona? E come loro tanti altri. Anche perchè è facile vedere, POI, che una buona idea era tale. Meno facile è vederlo prima.
Ma interrogarsi sulla validità della propria idea può aiutare ad evitare gli errori grossolani.
Per lo meno quello.

Le finanze sono un tasto dolente, soprattutto in Italia, in cui la burocrazia e una generale tendenza all'immobilismo non aiutano chi cerca capitali e soluzioni finanziarie per realizzare qualcosa.
Per capire qualcosa, può esserci d'aiuto delineare una scena ideale e vedere di quanto la scena attuale si allontana da questa scena.
Quale è la scena ideale?
La scena ideale è avere sufficienti finanze personali per finanziarie il progetto. Naturalmente non è detto che queste verranno usate per finanziarie ciò che vogliamo.
Per esemplificare, se il nostro progetto avesse bisogno di 100.000 euro per essere realizzato, noi dovremmo avere SOLO per quel progetto 100.000 euro da parte. Ovviamente non investiremmo tutti i 100.000 euro in questo progetto ma busseremmo alle porte di alcuni investitori (privati o bancari che siano) perchè una quota più o meno consistenti di questa cifra sia finanziata da esterni.
Sempre esemplificando, potremmo depositare i nostri parte di questi 100.000 euro su dei fondi vincolati e ottenere dalla banca della liquidità.
Ma questa scena ideale è molto lontana dalla nostra reale situazione.
La maggior parte delle volte le idee esistono (e sono buone) ma non esistono le finanze per realizzarle.
Come si fa?
Si chiede a chi i soldi li ha! E' semplice, come tutte le cose in economia e finanza.
Ovviamente qualcuno riderà su questo e dirà "grazie al piffero!" ma la realtà è che non vi è strada alternativa.
Se abbiamo bisogno di 100.000 euro per aprire un negozio in franchising (faccio un esempio) e in banca abbiamo solo 20.000 euro, suggerirei di lasciare quei soldi da parte (per motivi personali) e cercare tutti i soldi che servono.
Un'idea potrebbe essere coinvolgere qualcuno (che ha fondi o che può attrarli) nel progetto. Divideremo la torta ma ciò è sempre da preferire al non realizzare niente di quanto sognato.
Questo qualcuno da coinvolgere potrebbe essere anche un istituto finanziario o banca. 
Ma di questo parleremo nella 2a parte dell'articolo.
Grazie per l'attenzione.

lunedì 30 maggio 2011

Equitalia o IN-Equitalia? Questo è il problema.....

Equitalia o in-Equitalia?
Questo è il problema.... Diremmo se volessimo parafrasare il conosciutissimo passaggio dell'Amleto di Shakespeare.
Cos'è Equitalia? Beh, per saperne di più, per i pochi che non ne avessermo mai sentito parlare, rimandiamo alla seguente pagina. Di base Equitalia è una società privata a completa gestione pubblica (è per metà dell'Agenzia delle Entrate e per metà dell'INPS) che si occupa di riscuotere tasse, balzelli d'ogni sorta e tipo e multe non riscosse.
Il nome presupporrebbe l'espletamento di un compito compensativo delle ingiustizie presenti in Italia.
O qualcuno pensa che nella nostra nazione non vi siano ingiustizie, sociali, penali o economiche che siano?
Equitalia sta incontrando numerose critiche e opposizioni, sia di natura giornalistica che di protesta fatta da persone in carne ed ossa nelle strade e nelle sedi opportune.
Ma probabilmente tutto ciò che è successo non è niente con quello che accadrà qui in Italia se chi di dovere non provvederà ad apportare vistosi cambiamenti nei confronti di questo ente.
Le critiche le avrete sentite anche voi oppure qualcuno di voi potrebbe aver vissuto sulla propria pelle le iniquità di chi ha l'equità solo nel proprio nome.
Qualcuno mi potrebbe accusare di essere un sostenitore dell'evasione fiscale e del qualunquismo che impera nella nostra nazione.
Vorrei ribadirlo, come in precedenza esposto, per il sottoscritto è corretto pagare le tasse, tutte le tasse.
Ma il sottoscritto pensa anche che lo stato esista per servire il cittadino e non il contrario.
Siccome le cose non sono sempre sullo stesso piano, esistono delle scale di importanza relativa.
E il principio che le tasse devono essere eque e funzionali viene PRIMA del fatto che tutti i cittadini le debbano pagare.
Vogliamo fare un esempio? Facciamolo.
Parliamo dei contributi INPS. I contributi INPS "dovrebbero" essere dei versamenti che una persona effettua ad un gestore pubblico affinchè questo possa restituire una data somma mensile (pensione) nel momento in cui chi versa non sia più nelle condizioni di potersi sostenere con il proprio lavoro.
Una sorta di previdenza, diciamo. Io metto da parte oggi, così un domani che non posso lavorare quei risparmi mi torneranno utili.
La cosa ha un senso, certo!

Ma perchè è obbligatorio? E perchè vi sono degli importi minimi di versamento?
L'obbligatorietà dei contributi INPS può trovare risposta nel fatto che i soldi versati all'ente previdenziale servono per altre ragioni, quali ad esempio gli ammortizzatori sociali, quali cassa integrazione e simili. Beh, allora i contributi INPS non sono solo un accantonamento per il mio futuro ma una sorta di quota associativa, sul tipo dei consorzi fidi, per cui tutti versano nel caso in cui alcuni ne abbiano bisogno.
Giusto? Già, è proprio così!
Se non fosse che non tutti quelli che versano hanno il diritto a ricevere degli ammortizzatori sociali. Un lavoratore autonomo non ha questo diritto. E allora perchè ha l'obbligo di versare i suoi contributi? Perchè è un obbligo e non una facoltà?
E perchè vi sono delle quote minime a prescindere dai ricavi?

Se io avessi un'assicurazione pensionistica di tipo privato con l'accordo di versare una quantità X al mese, nel momento in cui non avessi le sufficienti entrate per pagare, chiederei che il mio PIANO DI ACCUMULO (si chiama così) venga semplicemente sospeso. E se venisse interrotto, riceverei nella data prevista la somma che salterebbe fuori sa un semplice calcolo di matematica finanziaria.
Invece l'INPS pretende da molti dei pagamenti non proporzionati alle capacità reddituali di chi versa per le proprie esigenze di cassa. Incassi dai lavoratori di oggi per pagare i pensionati di ieri. Altrimenti il sistema salta.
Ma allora non è possibile esaminare questo fatto?
Si parla di non poter togliere alle persone i diritti acquisiti? Qualcuno mi può spiegare perchè questa apparente equa legge debba causare che altre persone siano VESSATE da richieste ingiuste? Cioè se io non prenderò la mia futura pensione, nonostante i miei versamenti, perchè non si può ridurre la pensione che qualcuno prende da 10 o 20 anni?
Equitalia usa metodi da stato di polizia per riscuotere cifre che non sono EQUE su imposte che non sono EQUE. Perchè dovrei pagare il 130% di una somma che non sono riuscito a versarti?
Vi è un dolo? Ai danni di chi? Questo INPS lo dovrebbe spiegare. Perchè se anche vi fosse, la responsabilità di chi è? Del contribuente o dell'INPS stessa?
Sarebbe come se un negoziante citasse in tribunale un cliente che non lo ha pagato come responsabile del fatto che egli non ha pagato i suoi fornitori. Non funziona così. Ognuno è responsabile dei suoi pagamenti. E ogni struttura, compresa l'INPS, dovrebbe avere un suo metodo per gestire le inadempienze.
Non sto a elencare tutte le cose che sono inique in Equitalia.
E' iniquo che per un piccolo debito, una persona abbia degli atti giudiziari su tutti i suoi beni.
E' iniquo che le cifre richieste vengano continuamente aumentate di more e costi. E' una sorta di usura legalizzata.
E' iniquo che i casi di mancato pagamento non vengano esaminati da un punto di vista etico e di società civile invece che semplicemente da un punto di vista burocratico.
Vivo in una città in cui il comune (a torto o a ragione) eroga dei fondi per sovvenzionare gli studi primari ai figli dei Rom presenti. Una città in cui un lavoratore autonomo in difficoltà non solo non riesce a pagare quanto deve a causa di norme ingiuste e una pressione fiscale impossibile da sopportare ma in cui si viene messi all'indice e crocifissi per averci provato.
Quale è l'esito prossimo futuro?
Che non vi sarà lo stimolo a rischiare e a provare a fare nuova imprenditorialità.
Questo già succede.
Questo già accade.
E il passo successivo è la scorciatoia della criminalità o dell'evasione.
Equitalia è un problema politico. E' un problema non la struttura ma i motivi per cui è lì.
Equitalia non è al servizio della collettività. Lo sarebbe se, con un peso fiscale corretto, essa fosse lì a far pagare i furboni.
Equitalia è al servizio dei furboni. Quelli che, siccome ingrassano con la spartizione politica delle risorse, pensano che il modo per fare cassa sia quello di spremere le persone più deboli e meno ricche della società.
Equitalia farà diventare i poveri ancora più poveri e i ricchi ancora più ricchi.
Equitalia ti porta via la casa perchè le devi 40.000 euro. Vendere la tua casa che ne vale 200.000 alla metà. Chi la compra la rivenderà a prezzo di mercato e farà un sacco di soldi.
Equitalia portà disuguaglianza.
Io non so quanto la gente starà a guardare.
Grazie per l'attenzione.

lunedì 23 maggio 2011

Il rating delle agenzie internazionali: ha un senso ciò?

Le agenzie internazionali di rating sono salite agli onori delle cronache negli ultimi anni in modo sempre più potente.
Le più conosciute sono Standard & Poor's; Moody's e Fitch.
Ogni tanto, nei mass-media nazionali, si sente parlare di loro.
Sono agenzie private statunitensi che si sono arrogate il diritto di stabilire la credibilità delle finanze degli altri paesi.
La cosa è veramente peculiare e per molti versi assolutamente paradossale.
Ma cosa ci sta succedendo sotto il naso?
Sotto il naso accade che, pian piano, si è creata una casta di singoli individui e organizzazioni che ormai si dichiarano i DEUS EX MACHINA della situazione.


Il vero problema della questione non è se questi signori abbiano o meno ragione.
Forse ce l'hanno o forse non ce l'hanno.
Il vero problema è l'influenza che le loro "opinioni" hanno sugli equilibri economico-politici mondiali.
La loro funzione ricorda un pò quella di chi, avendo autorità e potere, dichiarano una cosa e poi la realtà si conforma alla loro dichiarazione.
Se si continua a sostenere che una nazione è in difficoltà economica e finanziaria, con ogni probabilità si creerà un accordo generalizzato nel resto del mondo che le cose stanno così. E, credetemi, prima o poi quella nazione avrà difficoltà economiche e finanziarie, anche se prima non le aveva.
La cosa potrebbe essere fatta con chiunque e con qualunque cosa. La differenza è che, se si vocifera su un individuo, è meno semplice che ci sia un accordo collettivo e generalizzato perchè tale soggetto è facilmente identificabile.
Con le nazioni è tutto meno semplice, veramente meno semplice.
Non puoi sottoporre a verificare le "opinioni" di queste agenzie internazionali.
Che fare quindi?
Primo, sottrarre importanza a queste scale di rating. Che ci interessa che la Grecia è in classe AA o in classe A- o BBB? Cioè al 98% della popolazione che interessa questo?
Se avessi dei soldi da investire, posso rivolgermi ad un consulente o una struttura apposita che si preoccuperà di consigliarmi al meglio, prendendosi le proprie responsabilità.
Se voglio, se proprio voglio fare da solo, starà al sottoscritto smanettare con voracità fra giornali e siti economico finanziari per capire quale rating assegnare ai titoli di debito pubblico greci.
Sarà una mia opinione.
Non un'opinione di un'agenzia di rating che poi diventa, vera o meno, una verità assoluta.
Grazie per l'attenzione.

mercoledì 2 febbraio 2011

Come faccio ad iniziare un nuovo lavoro? (3a e ultima parte)

La scelta del posto in cui vivere e lavorare è fondamentale.
Mi spiace essere diretto e drastico ma occorre che ognuno di noi metta sul piatto della bilancia i 2 opposti obiettivi che spesso si fanno la guerra e faccia pendere l'ago da una parte o dall'altre.
In genere il successo lavorativo si contrappone agli affetti familiari. In un senso o nell'altro questi 2 obiettivi contrapposti, possono entrare in rotta di collisione.Ora non è detto che questo debba sempre e necessariemente accadere. E' possibile che qualcuno non si trovi dinnanzi alla continua scelta fra quali di queste 2 componenti della vita di una persona debba essere preferita o facilitata.
Potrebbe ma non è la consuetudine. Quindi parleremo di quando questi 2 obiettivi sono contrastanti.

Quindi, in un'ottica di cambiamento di lavoro/attività, bisogna interrogarsi a fondo su quali siano le nostre priorità.
In India vige un detto che recita "Quando non sai dove andare, qualsiasi strada va bene". Corretto, no?
Una volta chiarite le nostre velleità lavorative, probabilmente avremo anche chiarito il dilemma principale del cambiare lavoro. Che è sempre: lavoro autonomo lavoro dipendente? Questo dilemma non è roba da poco perchè la filosofia di fondo che dimora nelle 2 scelte è profondamente diversa e per molti aspetti antitetica.
Il lavoro dipendente può essere espresso come la volontà di porre il proprio tempo a disposizione di qualcuno affinchè si ottenga un prodotto o un risultato ottenendone un compenso monetario basato su questo parametro (il tempo).
Il lavoro autonomo può essere espresso come la volontà di utilizzare il proprio tempo per ottenere un prodotto o un risultato ottenendone un compenso monetario.
Nel primo caso il compenso monetario è prevedibile. Nel secondo caso no.
Nel primo caso vi è certezza di guadagno, nel secondo caso no.
Ma nel secondo caso vi è libertà e potenzialità che nel primo non sono contemplate.
Ovviamente ci sono molti aspetti particolari da esaminare. Lavori che appaiono come autonomi e che invece possono essere meglio riclassificati come dipendenti e viceversa.

Se dobbiamo spiegare come si inizia un nuovo lavoro, forse dovremmo rispondere a questa domanda differenziando la risposta per le 2 categorie di cui abbiamo parlato.
E di queste parleremo nei prossimi giorni.
Grazie per l'attenzione.

mercoledì 26 gennaio 2011

Come faccio ad iniziare un nuovo lavoro? (2a parte)

Cambiare lavoro è un trauma mentale ancor prima che sostanziale.
D'altronde i cambiamenti vengono patiti più a livello mentale che altro. Non è importante come le cose sono ma come le percepiamo.

Uno dei grandi problemi che il moderno sistema economico (quasi) globalizzato ha, è proprio il meccanismo della "flessibilità" del lavoro.
Ora si possono cambiare le idee e modificare le percezioni delle persone con un uso accorto delle parole.
Chiamare "flessibilità del lavoro" il fatto di licenziare facilmente qualcuno è una trovata che da sola meriterebbe un premio.
Come direbbe l'inviato delle Iene, Lucci, in Italia un premio non si nega a nessuno!
Sta di fatto che questo meccanismo della flessibilità dovrebbe essere rivisto in un'altra ottica. Ovvero l'ottica della sopravvivenza di una specie.
Da una parte, infatti, appare insensato questo continuo richiamo alla stabilità del lavoro e questa lotta alla precarietà. Se per lotta alla precarietà intendiamo uno sforzo collettivo (di autorità pubbliche, imprese, artigiani e lavoratori dipendenti) nel rimuovere dal sistema ogni fattore possa diminuire la capacità produttiva del sistema stesso compresi (e soprattutto direi io) i comportamenti disonesti o non etici, allora tutti saliremmo su questa barca.
Ma dire semplicemente che il lavoro non debba essere precario è come sostenere una banalità. Non è un concetto definito e in quanto tale ognuno ne darà un significato di parte e quindi scorretto.
Un agente di commercio, un proprietario di un piccolo negozio, un libero professionista sono (lette in una certa ottica) delle figure precarie. Non sanno quanto lavoro produrranno, non sanno quanto guadagneranno mese per mese, non sanno se riusciranno a campare la loro famiglia. Il mese inizia e non si sa quanto si raccoglierà dopo 30 giorni. Più precario di così!!
Qualcuno ovviamente capirà che questa metafora è forzata.
L'agente, il negoziante e il libero professionista saranno precari nella misura in cui il lavoro va male.
Il problema quindi non è il fatto di sapere che si avrà uno stipendio fisso per tutta la vita in un posto di lavoro che non cambierà mai. Non è questo il punto.
Il punto è che ci si sente precari quando non ha il minimo controllo sulla propria sfera lavorativa.
Se decido di fare il collaboratore in una struttura di ricerca o l'addetto ad un call center, la precarietà è il fatto che (a differenza dell'agente, del negoziante e compagnia cantante...) subisco completamente ogni decisione dell'amministrazione in merito al futuro di quella collaborazione. 
Ma stiamo fuggendo dal discorso.
Come si fa ad iniziare un nuovo lavoro?
1) La prima regola è il passaggio graduale. Ovvero è altamente consigliato evitare delle rotture brusche da un attività ad un'altra. E tanto più le 2 attività sono differenze e distanti e tanto più il passaggio deve essere graduale. Se lavoro come cameriera e decido di andare a lavorare come addetta delle pulizie, il passaggio può essere immediato. Ma se ho fatto il carpentiere e decido di andare a fare il venditore di contratti telefonici, è altamente sconsigliato chiudere con un'attività e iniziarne un'altra.
2) Il periodo di passaggio fra un lavoro e un altro ha un costo in termini di inefficienza. Nelle attività imprenditoriali si chiama "fase di start- up", in italiano avviamento. E come per un auto, i primi metri sono quelli più impegnativi per il motore a causa dell'inerzia del peso. Per superare questo periodo di passaggio, chi cambia lavoro deve mettere in conto questo costo ed avere una soluzione per esso. Ovvero avere qualche soldino che copra le necessità primarie accantonato o disponibile da qualche parte.
3) Nel cambio di lavoro sopperire alla carenza di esperienza nel nuovo lavoro con un incremento di conoscenza. Lo studio e l'esercizio possono sostituire la mancanza di esperienza diretta. Se non si è mai venduto, fare un corso sulle vendite può essere una buona soluzione. Lo studio non eguaglierà mai l'esperienza diretta. Ma c'è anche da dire che senza studio, spesso, l'esperienza diretta non porta ad una crescita. Ci sono persone che lavorano in una certa professione da anni ma anzichè migliorare con il tempo, imparano semplicemente a diventare "esperti" nel ripetere gli stessi errori. Questo perchè non si mettono mai in discussione con lo studio e l'apprendimento. Lo studio è meglio se effettuato presso contesti appositi ma anche la semplice lettura di libri specializzati nella formazione è di grande aiuto.
4) Il cambio di lavoro deve andare incontro al progresso della persona verso i suoi obiettivi nella vita. Un cambio di lavoro guidato solo dall'aumento di guadagno o da un fattore simile potrebbe essere un boomerang. La promesse di nuovi e più facili guadagni può attirare qualcuno verso mestieri nuovi o soluzioni strambe. Il cambio deve avere un senso ed essere allineato alla propria personalità fondamentale.

Si va bene tutto questo, abbastanza di buon senso. Ma pur sapendo quali errori non commettere nel cambiare lavoro, forse non stiamo rispondendo ad una domanda che potrebbe risultare fondamentale. Ovvero 
Si, però come individuo un nuovo lavoro?
Il mio lavoro non mi piace, non mi dà sicurezza/soddisfazione/successo sociale. Nella mia terra/città non c'è lavoro per nessuno. Cosa mi invento? Devo emigrare?

Di questo parleremo nella terza e ultima parte dell'articolo.
Grazie per l'attenzione.

lunedì 24 gennaio 2011

Come faccio ad iniziare un nuovo lavoro? (1a parte)

L'italiano medio è, di questi tempi, preoccupato per una quantità di fatti per la cui conta non bastano le dita di una mano. E neppure le dita dei piedi. Forse sommando tutte le dita di mani e piedi di tutti i suoi familiari + qualche volenteroso vicino potremmo avvicinarci alla realtà.
Il lavoro è certamente il PROBLEMA della stragrande maggioranza degli italiani. E per stragrande intendiamo circa il 60% della popolazione. Del restante 40% possiamo solo dire che il 18% è fatto da persone minori di 18 anni mentre il 20% ha più di 65 anni. Rimane un 2% per cui, a causa della propria agiatezza, il lavoro non rappresenta un problema.


L'Italia attraversa, dal nostro punto di vista, la peggiore crisi sociale da 35 anni a questa parte, da quel periodo chiamato anni di piombo in cui le tensioni sociali e classiste interne premevano contro lo stato dello stivale da una parte mentre la crisi energetica mondiale premeva dall'altra.
E, sempre dal nostro punto di vista, sebbene certi problemi siano, in un certo senso, ugualmente risolvibili la situazione si presenta peggiore rispetto a quei momenti degli anni '70 perchè meno vive sembrano che siano la forza e la dignità degli italiani.

Il lavoro rappresenta un buon 65/70% del tempo settimanale di cui siamo dotati. In molti casi il tempo passato a lavorare è anche maggiore. In ogni caso moltissimi fattori individuali e familiari dipendono dal lavoro.
Perchè?
Per quanto ci piace atteggiarci ad essere evoluti, possiamo solo dire che lo scopo principale di ogni essere umano è quello di garantirsi la sopravvivenza. E che ne risulta di concetti come l'etica, la spiritualità, la creatività, l'amore e così via?
Sono forse da dimenticare? Certamente no e il fondamento del nostro pensiero colloca questi fattori ad un rango di importanza maggiore rispetto alla materialità immediata. 
Ma rimane il fatto che la spinta innata di ogni essere umano è indiscutibilmente volta a cercare la propria sopravvivenza, comprendendo in quiest'ambito anche la sopravvivenza della propria famiglia e discendenza così come la sopravvivenza del proprio gruppo sociale.
Il moderno impegno nel lavoro diventa così qualcosa di simile alla lotta per la sopravvivenza del resto degli animali o dei nostri antenati meno civilizzati. Si usciva al mattino presto per procurarsi cibo e strumenti utili per se e per i propri figli. Si andava per i campi o per la jungla spinti da un istinto a procurarsi il sostentamento consci che là fuori è una lotta per la sopravvivenza.
Quanti di noi escono di casa con questa sensazione?

Cambiare lavoro è, secondo questo modo di vedere le cose, solamente un modo per reagire ad un improvviso calo di fonti di sopravvivenza. Se fossimo dei cavernicoli o una razza primitiva potremmo trovarci, ad un certo punto, ad osservare la nostra fonte d'acqua prosciugarsi o diventare poco sana. Potremmo assistere ad una siccità persistente che limita le risorse nuttizionali oppure essere colpiti da un flagello meteorologico tale per cui la ricerca di un nuovo posto risulta necessario.
Nessuno dice che sia bello dover cambiare lavoro nè che questo passaggio debba essere svolto canticchiando o semplicemente stringendo le spalle in una sorta di qualunquismo professionale.
Di certo ogni economia attraversa fasi e prima del disastro e della chiusura di un'azienda, di un'area o di un mercato vi erano stadi intermedi in cui si poteva intervenire con cure meno drastiche.

Ma, per quanto certi problemi è sempre meglio risolverli a livello globale o di gruppo, il discorso che possiamo mettere adesso in pista riguarda l'individuo.
Se il lavoro che facciamo adesso non funziona, che si fa? Se non ci garantisce i redditi che desideriamo, se non ci da la soddisfazione che riteniamo minima e rispettosa della nostra professionalità......
Ne parleremo nella seconda parte.
Grazie per l'attenzione.

venerdì 21 gennaio 2011

Le tasse: è giusto pagarle? (3a e ultima parte)

Concludiamo questa carrellata cercando di tirare le somme di quanto ci siamo detti.
In una nazione in cui vi è la necessità di servizi di utilità pubblica, tutti i cittadini sono tenuti a contribuire al costo complessivo di questi beni. 
Laddove non sia possibile stimare in quale parte questi servizi portino utilità al singolo cittadino e laddove si possa stimare che oltre l'utilità effettiva ci sia un'utilità potenziale, il costo dei servizi deve essere pagato da tutti i cittadini.
Citiamo il servizio di ordine pubblico svolto dai corpi di polizia.
Non vi è possibilità di stabilire in quale misura un cittadino fruisce di questa utilità. Sapere che la propria città è sicura e un corpo organizzato di polizia vigila su tutti non è suddivisibile. Su ognuno di noi ricade l'utilità potenziale di questo servizio sociale.
Lo stesso dicasi della scuola.
Il fatto che la scuola esiste e sia a disposizione di tutti è un'utilità potenziale per qualunque cittadino. Poco importa se abbiamo figli che vanno a scuola o meno. Potremmo averli e quindi potremmo usufruire di questo servizio. D'altronde questo, più che un costo, è anche (E SOPRATTUTTO diremmo noi!) un investimento e quindi uno stato (provate a dirlo all'attuale governo in carica se ci riuscite) non dobrebbe MAI e dico MAI lesinare soldi da devolvere alla costruzione dei pilastri del futuro ovvero la formazione scolastica delle nuove generazioni.

E' giusto quindi pagare le imposte!
Ed è giusto pagare anche le tasse cioè pagare per avere un servizio pubblico di utilità individuale.
Parliamo di pagare le tasse sui rifiuti, sulle prestazioni sanitarie non di emergenza e non indinspensabili e su tutte le concessioni che l'ente pubblico fa ad un individuo a discapito dell'intera comunità.
Sapevate, ad esempio, che lo stato italiano si fa pagare pochissimi soldi (veramente pochi) per dare alle imprese che imbottigliano l'acuqa minerale la concessione allo sfruttamento delle falda acquifere o delle fonti del nostro territorio?
Perchè queste aziende dovrebbero pagare poco per vendere un bene che è di tutti? Teoricamente l'acqua potabile dovrebbe giungere in tutte le case e ognuno dovrebbe pagare una quota per il consumo. Ma questa quota dovrebbe servire solo a coprire i costi per la fornitura del servizio e non comprendere fattori di lucro.
Nel prezzo della minerale che comprate ogni giorno, fatto 100 il prezzo di un litro di quell'acqua, il costo puro per la raccolta e imbottigliamento dell'acqua è molto, molto piccolo. Diciamo che costerà 1 o forse meno. Il resto sono costi di trasporto (certo se ci beviamo l'acqua che arriva dall'altra parte d'Italia), di pubblicità e puro lucro.

Esistono sicuramente delle tasse che non sono giuste in se e tasse che sono inappropriate come meccanismo di pagamento. Citiamo nel primo caso la tassa sul possesso di un televisore. Innanzitutto è una tassa subdola perchè spacciata per qualcosa che non è. La chiamano "canone RAI" ma non è un costo di abbonamento per la visione dei canali Rai. Piuttosto è una tassa sul possesso di un apparecchio radio-televisivo.Hai una tv o una radio a casa? Devi pagare! E a niente serve dire o argomentare che uno non guarda la Rai!
Forse potremmo anche accettare l'idea che si debba pagare per possedere uno strumento elettronico. Forse.
Sa molto di balzello medioevale (non dimentichiamo che questa tassa è stata creata in periodo fascista quando avere una tv o una radio era un lusso per ricchi!) ma se il costo fosse molto contenuto, potremmo anche accettarlo. Ho un bene di lusso e pago per il suo possesso. In cambio lo stato mi fornisce un servizio pubblico di informazione e formazione. Cioè mi mette in onda dei contenuti per cui ha un senso la tassa.
Ma se guardiamo i motivi per cui dobbiamo pagare la tassa sul possesso di una TV non si capisce cosa stiamo pagando.
Forse gli stipendi di tutti quelli che lavorano in Rai? E perchè sono tutte figure necessarie per i servizi di cui parlavamo prima? Ovviamente no, perchè la Rai svolge il suo servizio di utilità pubblica in misura molto molto marginale. Talmente marginale che molti strumenti di Internet oggi hanno soppiantato la necessità che la Rai esista. Su internet possiamo andare a visionare gli atti del parlamento, i decreti del governo, avere risposte, enciclopedie, sapere news da tutto il mondo, programmi culturali e di formazione e documentari a go-go.
Insomma si è capito l'antifona.

 Alcune tasse sono giuste ma il loro meccanismo di pagamento è scorretto. Il classico esempio è la tassa sui rifiuti. Che si paga in base alle dimensioni della propria casa o dal tipo di attività imprenditoriale che si svolge.
Solo una minima parte della tassa dovrebbe essere fissa e ripartatita in modo uguale per tutti. Il resto (la gran parte) dovrebbe essere pagata in proporzione alla produzione effettiva di riufti e non a quella potenziale.
Qualcuno dirà che è difficile farlo ma la difficoltà nella misurazione della produzione di rifiuti non è una scusante.
Occorre impegno e sicuramente un cambio drastico delle abitudini di vita ma è possibile, come dimostrato laddove piccole ma volonterose amministrazioni locali hanno provato soluzioni alternative.

In Italia attualmente il peso fiscale è pari a più della metà dei guadagni per gli autonomi e un pò meno della metà dei guadagni per i dipendenti. Questo mediamente. Il peso fiscale italiano è uno dei maggiori d'Europa e dell'intero pianeta, fatti salvi i paesi tipo "Repubblica delle Banane"- I servizi che lo stato italiano eroga sono immensamente al di sotto della soglia minima di decenza in molti settori. Lo stato prende più di quello che rende al cittadino.
E poi ci meravigliamo se gli italiani non vogliono pagare? Gli italiani onesti, intendiamo.
Perchè oltre questi vi sono gli italiani disonesti, e sono tanti, tantissimi, che non pagherebbero neanche se lo stato italiano e i suoi enti rendessero come servizio più di quanto prelevano. Costoro stanno troppo bene perchè vivono in un contesto in cui si sentono anche giustificati nel non pagare e in cui si confondono con le persone per bene vessate dal fisco.

Quale è la strada? Recuperare soldi dall'evasione fiscale? Solo in parte. Quello va fatto ma lo stato italiano (e quindi tutti noi che lo costruiamo collettivamente) deve dimostrare un cambio radicale con il passato.
Dovrebbe decidere di dare una svolta, abbassando il peso fiscale sulle spalle dei cittadini onesti.
Si inizia dall'abbassare il livello delle imposte e dal cancellare l'esistenza di molte tasse inique o esose.
Questo comporterà la mancanza di fondi per far funzionare le cose. Sicuro. Ma da lì si inizia, altrimenti non ne usciamo più.
E gli italiani, già abituati ad un pessimo servizio pubblico generale, se ne faranno una ragione sapendo che questo sarebbe solo provvisorio.
Meno tasse significa maggiore prosperità per i cittadini e alla fine per lo stato, che ritroverebbe i denari per far funzionare i suoi servizi. Non puoi tassare uno che non ha niente o ha poco. Il 50% di poco è poco. Il 25% di molto è molto. Non so se rendo l'idea.
Ma di possibili soluzioni all'attuale sistema fiscale, parleremo in un prossimo articolo.

Grazie per l'attenzione.
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