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martedì 1 novembre 2011

Come uscire da un tunnel di debiti? 1a parte

Salve,
ci sono alcune parole che spaventano e inquietano. Pur rimanendo solo e soltanto parole. In questi giorni di Halloween, abbiamo le streghe, i vampiri, i licantropi, gli zombie e via dicento.
Abbiamo parole che veicolano immagini di malattia e di morte. Altre di disperazione e dolore.
Una parola che sicumente tormenta l'italiano media in questi tempi è DEBITO. O meglio debiti, perchè al singolare non spaventa così tanto.
A meno che non si stia parlando di debito pubblico e allora lì è un altro discorso.
Con questo post, vorremmo inauguare un periodo in cui affronteremo a più riprese il concetto stesso di debito. Ciò perchè appare fin troppo evidente che esistano concetti errati su questa cosa e appare ancora più evidente che moltissime persone abbiano problemi a riguardo.

Parlare di lavoro, imprenditorialità o addirittura finanza ed economia internazionale quando di è sopraffatti da debiti contingenti, diventa difficile. Non che si parlerà unicamente di questo ma sarà un tema ricorrente.

Non solo, abbiamo in preparazione un nuovo libro, il cui titolo è ancora in discussione ma che momentaneamente è intitolato "Come risalire la china!" ovvero come riuscire a tirarsi fuori dalle paludi della vita, soprattutto dalle trappole dei problemi finanziari.

Iniziamo con calma e dalla base (come solitamente ci piace fare!),
Cos'è un debito?

Un debito è, genericamente, un vincolo nei confronti di qualcuno per cui siamo tenuti a restituire qualcosa che ci è stato prestato. Questo qualcosa può essere un FARE o un DARE. Cioè qualcuno può aver fatto qualcosa per noi oppure può averci dato qualcosa. E noi sappiamo (per accordo condiviso) che questo qualcosa debba essere restituito.
Questo in via generale.
Tralasceremo, ovviamente, tutti i commenti e le riflessioni sui debiti morali ed etici che possiamo aver contratto. Dobbiamo qualcosa a molte persone: a genitori, parenti, amici, etc. Spesso questi "debiti" vengono ignorati o minimizzati ma è un argomento vasto e non lo toccheremo. Parliamo in questo cao dei debiti relativi ad un FARE.
Più facile è discutere dei debiti relativi ad un DARE. Qualcuno ci da qualcosa con l'accordo che questo qualcosa debba essere restituito prima o poi. Potrebbe non essere una restituzione della stessa cosa ma di qualcosa di similare. Se non c'è il vincolo della restituzione avremmo il concetto di "regalo" o di "vincita".
Più concretamente, ciò che più frequentamente viene prestato è il denaro! Proprio perchè il denaro stesso è un jolly che facilmente si trasforma in oggetti e servizi, avremmo che più facilmente si presta e si rimborsa denaro.

C'è però un punto che va chiarito e che è FONDAMENTALE per comprendere la natura del debito.
Erroneamente molti chiamano debiti delle cose che, dal punto di vista pratico, debiti non sono.
Esempio molti chiamano debiti le rate delle finanziarie con cui stanno acquistando l'auto oppure la rata del mutuo. Ma andiamo con calma, per capire meglio.

Il debito finanziario consiste in una somma generale che siamo tenuti a restituire a qualcuno in virtù di un contratto o di un accordo. In genere si prende una cifra X e di concorda che questa verrà restituita in un tempo prefissato, in un'unica solozione o con pagamenti scadenzati (le rate).
Ma esposto così, il concetto non ci aiuta a comprendere bene la natura del debito. Soprattutto dei connotati emotivi connessi.
Allora stabiliremo questa differenza:
DEBITO (in inglese debt): una somma di denaro dovuta a qualcun altro che non stiamo restituendo nonostante gli accordi o che pensiamo di non riuscire a restituire.
CONTO da PAGARE (in inglese bill): una somma di denaro dovuta a qualcun altro che stiamo restituendo regolaramente in base agli accordo e che pensiamo di riuscire a restituire.

Compresa la differenza?
Prendiamo ad esempio la differenza fra un mutuo e l'affitto di un appartamento.
Fissiamo, per semplicità, che la rata del mutuo sia uguale al canone di affitto. Mettiamo che entrambi costino alla famiglia 700 euro mensili.
Da una parte abbiamo qualcuno (chi ha contratto il mutuo) che sa che ogni mese deve pagare 700 euro per tutti gli anni a venire per garantire un tetto sulla testa della sua famiglia. Dall'altra parte abbiamo qualcun altro (chi ha la casa in affitto o, meglio, locazione) che sa che ogni mese deve pagare 700 euro per tutti gli anni a venire per garantire un tetto sulla testa della sua famiglia.
E' ovvio che sebbene la situazione sembri uguale, vi sono delle grosse differenze fra le 2 famiglie.
La prima pagherà 700 euro per un periodo limitato (20, 25 o 30 anni mediamente) mentre l'altra famiglia pagherà 700 euro vita natural durante.
Ma da un punto di vista strettamente di equilibrio dei conti, la situazione è similare.
La famiglia con il mutuo ha si un debito complessivo con qualcuno di (esempio) 200.000 € ma a pareggiare i conti avrà anche la proprietà di un immobile del valore di 200.000 €. D'altra parte chi vive in affitto non ha nessun debito complessivo ma neanche nessun patrimonio.
Insomma le situazioni hanno indubbie differenze (dopo 30 anni chi ha contratto il mutuo smette di pagare la rta di 700 euro e si ritrova proprietario di un bene, chi sta in affitto no) ma la nostra attenzione si sposta sul meccanismo mentale del pagamento del debito.
Chi sta in affitto sa che deve pagare ogni mese 700 euro oppure finirà su una strada. Chi paga il mutuo sa che deve pagare ogni mese 700 euro oppure gli porteranno via la casa, e finirà su una strada. Tralasciamo adesso i particolari di giustizia civile che alterano questo apparente equilibrio.

Il punto è che se incassiamo dei soldi e paghiamo regolarmente la rata/affitto siamo a posto. In entrambi i casi avremmo dei CONTI (bills) da pagare.
Il problema nasce quando non si hanno i soldi per pagare la rata/affitto. E sebbene chi ha il mutuo, sa che deve restituire una cifra spesso molto grande se smette di pagare, lo stesso si può dire per chi è in affitto. O pensate che costui possa evitare di trovare un tetto da mettere sulla testa della propria famiglia?
Naturalmente se non si riesce a pagare un affitto di 700 euro, la famiglia cercherà una casa con un costo di locazione minore: magari 500 €. Ma il concetto CONTI/DEBITI esiste.

Così quando sottoscriviamo una finanziaria, quei soldi che restituiamo ogni mese sono un CONTO. E rimane tale finchè non ci troviamo nella condizione di non riuscire a pagare.
Ma sebbene chi non ha mai contratto prestiti bancari o non ha mai usato carte di credito, possa sembrare in condizioni finanziarie migliori perchè non ha DEBITI, in realtà ha anch'egli il peso di dover pagare dei CONTI ogni mese.
Ha l'affitto (a meno che non abbia casa di proprietà senza mutuo), la spesa mensile alimentare, la polizza assicurativa dell'auto, le spese di carburante, telefono, energia elettrica, gas, abbigliamento, etc., etc.
Quindi ogni mese non può far finta che non abbia dei pagamenti obbligatori e non rimandabili. Pagamenti che sono inesorabili come una rata. 

Con questo non stiamo suonando la grancassa all'abbandonarsi a chiedere soldi in giro. Il vero problema non sono i finanziamenti in se ma i motivi che li causano. Anche perchè il fatto di avere un prestito per l'acquisto di qualcosa può comportare un vantaggio. Ad esempio acquistare l'auto può metterci in condizione di lavorare meglio o di avere un altro lavoro. Quindi quell'acquisto è proficuo e giusto da effettuare. E sfruttare un prestito può essere veramente utile.
La persona pagherebbe anche un costo (gli interessi) per il servizio di cui usufruisce (poter disporre ORA di soldi che l'individuo guadagnerà nel futuro!).

Ma perchè, di base, facciamo questa lunga dissertazione su DEBITI e CONTI?
Perchè avere debiti pesa su una persona e ne limita le capacità di procurarsi nuove entrate! Cosa che non succede con i conti! Così una persona che ha un debito da 10.000 euro che non sta riuscendo a restituire si sentirà più schiacciato e oppresso dalla cosa rispetto ad una persona che ha 100.000  euro di conti che riesce tranquillamente a pagare.

Questo primo chiarimento ci può permettere di elimare molti fumi e nubi dalla comprensione del panorama delle situazioni di passività finanziarie.
E man mano cercheremo di rispondere alla domanda del titolo dell'articolo.
Anche in riferimento con quello che si può e si dovrebbe fare nei confronti dei nostri eventuali creditori. Anche quando ci martoriano con lettere dell'avvocato o con le telefonate delle società di recupero crediti.

Grazie per l'attenzione.

giovedì 27 ottobre 2011

Perdere il lavoro e trovarne un altro. Il lavoro come oggetto.

Al giorno d'oggi il lavoro è diventato una pietra miliare della vita di tutti noi.
Ci si dispera se lo si perde, lo si ricerca disperatamente se non lo si ha, lo si invidia a chi lo possiede.
Il lavoro ormai è diventato un concetto talmente solido da non essere più un'attività (io svolgo un lavoro) ma un oggetto (io possiedo un lavoro).

Giorni fa leggevo un articolo di un formatore e consulente di marketing italiano, il quale giustamente poneva in rilievo come i parametri del mondo del lavoro sia profondamente mutati rispetto ai paradigmi (cioè agli schemi di funzionamento) dei decenni scorsi.
Ma in un modo profondo e radicale!

Ovvero, se fino a qualche anno fa il concetto era statico (fai le scuola, laureati all'università, trova una collocazione in una grande azienda o avvia la tua carriera professionale fino alla fine dei tuoi giorni) ora è diventato dinamico.
Ma cosa significa in realtà questo passaggio da statico a dinamico?
Significa che prima la meta era il possesso di un contratto di lavoro ovvero l'occupare una posizione all'interno di una schema organizzativo. Io vengo assunto da qualche parte, ho il posto fisso e questo mi mette al riparo da tutto. Forse, nel mentre, posso anche imparare a fare qualcosa.
L'occupare un posto era la meta. E per fare questo contavano i certificati e gli status: cosa hai fatto? che scuole hai frequentato? quali certificati hai? Il famoso curriculum, insomma.
Valuti qualcuno in base a quello che HA FATTO!
Passato, vedete? Il paramentro era il passato.......

Ma in un contesto completamente diverso, in cui i mercati spostano violentemente le risorse da un paese all'altro e in cui i governi nazionali faticano a trovare dei sistemi sovranazionali per regolamentare le differente normative delle nazioni coinvolte, non conta più cosa qualcuno ha fatto o quali certificati ha ottenuto.
Alcune volte, il fatto di aver occupato per 20 anni una certa posizione in una struttura rigida, viene addirittura visto come un impendimento piuttosto che come un punto a favore.
Adesso vi è un netto spostamento verso il futuro e verso ciò che un individuo PUO' FARE! e non verso ciò che ha fatto.
L'attenzione si sposta dagli studi e dai certificati (che garantiscono solo che qualcuno conosce come le cose si facevano..... in passato!) alla capacità di anticipare le esigenze del mercato o di trovare soluzioni ai problemi.
In pratica si cercano persone con una formazione diversa e proiettata nel futuro.
Persone che non solo siano in grado di operare nel presente ma, SOPRATTUTTO, che siano in grado di adattarsi ai prossimi imminenti cambiamenti del mercato.

Cioè il lavoro, da oggi in poi, sarà continuamente rivoluzionato da cambiamenti. Sarà tutto un work in progress, ovvero un cambiamento continuo. Ecco il motivo di avere nella propria squadra persone che riescano a tollerare questa mutabilità e trasformare i cambiamenti in opportunità.

In questi giorni si parla tanto (come nei recenti anni) di aumento della flessibilità. 
Le imprese chiedono la possibilità di avere strumenti maggiormente flessibili.
I sindacati e i lavoratori temono (spesso a ragione) che dietro questa parola ci sia solo una scappatoia per scaricare i propri dipendenti da parte dei datori di lavoro. Quindi flessibilità vista come precarietà.
E di certo con la precarietà è duro, durissimo, incredibilmente duro riuscire a pianificare il proprio futuro.

Il tema è talmente vasto che è impossibile esaurirlo non solo in un articolo ma in 40 o 50 articoli.
Ci vorrebbe un intero libro che analizzi come da un'idea si possa passare a dei provvedimenti pratici senza danneggiare nessuna delle parti coinvolte.

Il punto è che il lavoro non è un oggetto. Il lavoro è una capacità. Una capacità che viene percepita dagli altri e che gli altri mettono in azione tramite la domanda (incarichi, assunzioni, ordini). Una capacità che diventa prodotti e servizi.
Così chi cerca lavoro pensando che sta cercando un oggetto da acquistare che qualcuno vende da qualche parte, ha molte difficoltà nel trovare lavoro. Cerca qualcosa che non c'è fuori di lui.
Il lavoro è dentro di lui.
E' una verità oltrmodo dura, oltremodo. 
E' una frase che attirerà i disappunti e le antipatie di alcuni e le perplessità di molti.
Ma rifletteteci un attimo e vedrete che se qualcuno cerca un lavoro senza offrire delle capacità (e non titoli, status o robe simili), non cerca lavoro ma un regalo. O qualcosa del genere.

Quale soluzione, quindi? Di sicuro, sia che si cerchi un primo lavoro o un reinserimento nel mondo del lavoro dopo averne perso uno, interrogarsi su quali capacità potenziali siamo in grado di offire sul mercato è il primo punto.
Se non abbiamo capacità da offrire, trovare lavoro sarà sicuramente arduo.

Grazie per l'attenzione.

lunedì 24 ottobre 2011

Tasse? Come far pagare gli evasori? Una proposta

Visto che questo blog è nelle nostre intenzioni non solo un luogo in cui ci scagliamo con forza e impeto contro questo o contro quell'altro, ma in cui lanciamo anche delle proposte che possano essere delle alternative a ciò che nell'economia e nella finanza accade in Italia, 
oggi intendiamo offrire un piccolo suggerimento che può, dal nostro punto di vista, essere un ottimo modo per combattere l'elusione dei piccoli professionisti e artigiani.
E' consuetudine, infatti, nel nostro paese che quando qualcuno ci fa un lavoro a casa nostra (giardinieri, idraulici, elettricisti, etc) o ci rende un servizio (medici, professionisti, etc.) non certifichi con apposita ricevuta fiscale o fattura, l'importo che chiede.
E' un classico.
"Guardi fa 100 euro! Però se debbo farle la fattura sono 120 €uro. Che facciamo?" 
E il privato cittadino, per cui anche 20 euro fanno testo, molto spesso china la testa e accetta. Anche per una sorta di sudditanza psicologica.
Si arriva a livelli in cui, quando si chiede "Quant'è?" si riceve come risposta spudaratamente la frase "Vuole fattura?".
Come voglio fattura? Non è che la voglio, la devi fare.
D'altro canto c'è anche lo stesso cliente finale che spesso incita il professionista a non emettere fatture e accettare il pagamento in nero. "Non mi faccia fattura, tanto non mi serve. Così non devo pagare anche l'iva!"
Insomma sono cose che conosciamo.

Come si può fare per evitare che il problema della richiesta della fattura vada a finire in capo al soggetto debole o comunque al soggetto che non vuole entrare in discussioni con chi ha prestato il servizio o svolto il lavoro?

Si chiama TRIANGOLAZIONE DEL PAGAMENTO!.
Ovvero si fa in modo che chi paga non debba richiedere a chi riceve i soldi il documento fiscale. E chi deve ricevere i soldi debba emettere il documento fiscale ad un soggetto terzo che si pone come elemento neutrale.
Ecco uno schema:
In pratica se l'idraulico vuole incassare il corrispettivo del suo lavoro, comunica l'importo al cliente ( a cui egli sa di dover aggiungere il 21% di iva), emette fattura in corrispondenza di questo importo e la consegna ad un soggetto terzo.
Questo soggetto terzo, che può essere l'ordine professionale, l'associazione di categoria o anche la locale camera di commercio (!), riceve la fattura e incassa dal cliente il pagamento, con consegna del documento fiscale.
Infine, dopo l'incasso del pagamento da parte del cliente, il soggetto tezo paga l'idraulico.

Cosa otteniamo? Che il cliente non deve litigare o discutere con l'idraulico e che l'idraulico non possa, pena il mancato incasso del denaro della sua prestazione, evitare di emettere un documento fiscale.

In questo modo vi è maggiore possibilità degli organi competenti di controllare i movimenti di denaro.
Ovviamente vi sarà sempre la possibilità che un idraulico effettui dei lavori in nero verso un cliente al quale lui farà un prezzo di favore per un incasso in contanti. Questo dipende molto dal livello di etica presente in una nazione. Ma pian piano questo si potrà correggere.
Basterebbe, ad esempio, permettere una pur minima detrazione fiscale delle fatture anche da parte del privato cittadino per ovviare a questo fattore. Perchè nel momento in cui avere una fattura comporta un vantaggio, è ovvio che aumenta la richiesta dell'emissione dello stesso documento fiscale.

Questo metodo, come tutti i metodi, non è esente da possibili manomissioni. Laddove regna la disonestà non ci sono trucchi che tengano.
Ma scopo di questa nazione e di un governo degno di tale nome sarebbe quella di disciplinare quelli che vorrebbero vivere nella disciplina e nell'ordine.
Vi è una grande maggioranza degli italiani che vuole una società con più regole e non con meno regole.
Pensiamo a questi e non alla minoranza che vuole che tutto vada avanti così.

Grazie per l'attenzione.

sabato 22 ottobre 2011

Le banche nell'occhio del ciclone. Ma che strano? - 2a parte.

Nella prima parte di questo articolo, parlavano del concetto di "riserva frazionaria" ovvero della quantità di soldi che una banca può prestare in base ai soldi depositati nelle sue casse.

Per una questione di chiarezza, sarebbe utile fare un passo indietro e comprendere bene
cosa fanno esattamente le banche?
Ovvero quale funzione svolgano nell'ambito della società e tessuto economico in cui operano.
Questo concetto (esaminare la funzione e l'utilità che un operatore economico svolge all'interno del contesto economico che si sta esaminando) è qualcosa di poco approfondito sia nei testi economici universitari che nelle pubblicazioni della materia.
E quindi, completamente dimenticato dagli "esperti" che in Tv e nei giornali sproloquiano di temi economici e finanziari.
Ogni cosa deve, e ripeto DEVE avere un'utilità collettiva per poter essere inserita in un contesto economico. Considerare solo l'utilità del singolo o della minoranza che ha benefici da quell'attività porta a conclusioni completamente folli.
Ad esempio, coltivare papavero da oppio, raccogliere i suoi prodotti, lavorarli e produrre eroina da spacciare sul mercato è un'attività profondamente redditizia. Per tutti coloro che vi partecipano. Forse i contadini dei paesi poveri che svolgono la parte "sporca" del lavoro guadagneranno una miseria nei confronti delle organizzazioni criminali che portano la droga, dopo i vari passaggi, al consumatore finale.
Ma è risaputo che se si vuole fare i soldi in fretta, spacciare droga è uno dei modi più veloci.
Nessun marketing, nessuna grande spesa di investimento, niente tasse, mercato con richiesta sempre ai massimi livelli.
Ma produrre e consumare droga, veleno chimico assolutamente dannoso per la salute del singolo e per la salute mentale della società, è SBAGLIATO in quanto non utile. La droga è un disastro per una società in cui essa circola. Danneggia e sottrare risorse che potrebbero essere destinate a produrre qualcosa di utile.

Quindi, quale è la funzione delle banche? O quale dovrebbe essere, visto che questa funzione non la stanno assolvendo come dovrebbero (in alcuni casi non la assolvono per niente).
La loro funzione è quella di prendere risorse non utilizzate in alcuni punti della struttura economica per porli al servizio di altri parti della struttura economica in cui verrano utilizzate per produrre ancor più ricchezza.
Chiaro? Spero di si. Mandatemi un commento nel caso in cui non lo fosse.

A questa funzione principale si accompagnano tutti quei servizi accessori che ormai sono diventati egualmente utili, quali il servizio dei conti correnti e di tutte quelle piccole utilità che una banca può fornire (bancomat, incasso assegni, etc., etc.).

Quindi dove è il nocciolo della situazione? Se le banche non svolgono la loro funzione (descritta qui sopra) la loro utilità è ridotta ai soli servizi di minore entità (bonifici, deposito contanti, etc.).
A quel punto dovrebbero trasformarsi in un'agenzia di servizi e nient'altro e smettere di essere banche. Avete presente i "money transfer"? Vedete come si occupano di spostare soldi svolgendo una funzione utile ma senza assurde complicazioni finanziarie?
E il cliente paga il servizio. Ed è contento. E tutto funziona bene.

Quindi non è per niente strano che le banche siano nell'occhio del ciclone.
Le banche sono responsabili di questo tracollo finanziario.
Lo hanno causato in decenni di operazioni finanziari simili a trucchi da prestigiatore (ne riparleremo più avanti) e allontanando il concetto di guadagno (concetto lecito che spinge tutti a stare meglio) dall'economia reale per portarla nella finanza virtuale.

Ezra Pound disse che i politici sono i camerieri dei banchieri.
Per quanto tempo andrà ancora avanti che i governi penseranno che aiutare le banche (AIUTARE LE BANCHE, ma come si può!!!!) sia più importante (PIU' IMPORTANTE!!!! ma come si può!!!!) che aiutare i cittadini e aiutare le imprese.

Per oggi, grazie per l'attenzione.

venerdì 21 ottobre 2011

Domande dei mutui in calo in Italia!

Leggendo oggi il Sole 24 ore (non ha bisogno di presentazione il più importante giornale di informazioni economiche d'Italia) ci colpisce una notizia riguardante la continua discesa del numero di mutuo erogati e demme domande di mutuo inoltrate nel nostro paese.

Sebbene sia indiscutibile che ci siano dei fattori strutturali nella finanza europea e italiana che debbano essere sistemati, vi è qualcosa che non si riesce a intuire con facilità in questi dati.

Se infatti si può comprendere che le banche stiano erogando meno mutui rispetto al passato (restrizione dei parametri di accesso al credito, minore liquidità interbancaria, aumento del numero dei lavori precari o infinanziabili) meno facilmente si può comprendere perchè gli italiani stiano anche chiedendo meno mutui.

Forse la lettura più semplice è anche quella più corretta. Ovvero dopo che per un pò di tempo le persone si ritrovano a ricevere rifiuti su rifiuti, esse stesse cominciano a comprendere che ottenere un mutuo (o un prestito) è diventato più difficile. E la voce si diffonde e moltissimi, che prima avrebbero perlomeno provato a richiedere un finanziamento, ora neppure provano.

Di certo leggere questo dato non è piacevole per tutti quelli (ne conosco tanti visto che lavoro nel settore da un bel pò di anni) che di mutui vivono, in particolare tutta la rete commerciale di banche, finanziarie, strutture creditizie e società di brokeraggio.
Ma si sa che i mercati hanno degli alti e dei bassi.

Piuttosto, come non è infrequente leggere su questo blog, rimaniamo perplessi sulla posizione assunta dagli istituti di credito. Ovvero per anni le banche hanno ricorso i potenziali clienti solleticando il mercato con continue offerte e stimoli ad accedere al proprio mutuo. Per un periodo c'è stata una battaglia senza esclusione di colpi (commercialmente parlando) in cui sembrava che l'accesso al credito fosse qualcosa di dovuto. "Un mutuo non si nega a nessuno", sembrava lo slogan di tutti.
E ora vedere questa restrizione all'acceso al mutuo, lascia perplessi.
In particolare, colpisce il fatto che nonostante l'arco temporale di un mutuo copra mediamente un periodo di 20 o 25 anni, i criteri di accesso al finanziamento (e quindi la valutazione dei rischi di finanziamento da parte dell'azienda) siano quasi completamente ancora alla situazione attuale dell'economia e del cliente.
Non solo, è frequente che nei calcoli di approvazione di banche e finanziarie ci sia un continuo utilizzo di criteri di finanziabilità che prendono in considerazioni dati storici e non dati futuri.
"Ciò che andava bene a mio nonno, andrà bene a me" sembra essere la massima filosofica degli istituti bancari. 
Non commento la cosa e lo faccio fare a voi!

In chiusura di articolo, mi sembra quasi normale trarre da tutta la cosa una profonda morale.
Ovvero che se i nostri politici e (ormai) i politici europei non decidono e non attuano una PROFONDA riforma del sistema bancario (NO DECISO ai semplici salvataggi proposti che costano così tanto agli stati e ai privati), difficilmente ci sarà una luce alla fine del tunnel che abbiamo imboccato da 4 anni a questa parte.

Grazie per l'attenzione.

giovedì 20 ottobre 2011

La crisi degli asini (una storia per capire!)

Oggi voglio raccontarvi una storia.
Per cercare di capire, attraverso una novella, cosa sta succedendo nella nostra vita quotidiana per colpa di questa "fantomatica" crisi che sembra attanagliarci.
Buona lettura.

LA CRISI DEGLI ASINI
Un uomo in giacca e cravatta è apparso un giorno in un villaggio. In piedi su una cassetta della frutta, gridò a chi passava che avrebbe comprato a € 100 in contanti ogni asino che gli sarebbe stato offerto. I contadini erano effettivamente un po' sorpresi, ma il prezzo era alto e quelli che accettarono tornarono a casa con il portafoglio gonfio, felici come una pasqua.
L'uomo venne anche il giorno dopo e questa volta offrì 150 € per asino, e di nuovo tante persone gli vendettero i propri animali. Il giorno seguente offrì 300 € a quelli che non avevano ancora venduto gli ultimi asini del villaggio.
Vedendo che non ne rimaneva nessuno, annunciò che avrebbe comprato asini a 500 € la settimana successiva e se ne andò dal villaggio.
Il giorno dopo, affidò al suo socio la mandria che aveva appena acquistato e lo inviò nello stesso villaggio con l'ordine di vendere le bestie 400 € l'una. Vedendo la possibilità di realizzare un utile di 100 €, la settimana successiva tutti gli abitanti del villaggio acquistarono asini a quattro volte il prezzo al quale li avevano venduti e, per far ciò, si indebitarono con la banca.
Come era prevedibile, i due uomini d'affari andarono in vacanza in un paradiso fiscale con i soldi guadagnati e tutti gli abitanti del villaggio rimasero con asini senza valore e debiti fino a sopra i capelli. Gli sfortunati provarono invano a vendere gli asini per rimborsare i prestiti. Il corso dell'asino era crollato. Gli animali furono sequestrati ed affittati ai loro precedenti proprietari dal banchiere.
Nonostante ciò il banchiere andò a piangere dal sindaco, spiegando che se non recuperava i propri fondi, sarebbe stato rovinato e avrebbe dovuto esigere il rimborso immediato di tutti i prestiti fatti al Comune. Per evitare questo disastro, il sindaco, invece di dare i soldi agli abitanti del villaggio perché pagassero i propri debiti, diede i soldi al banchiere (che era, guarda caso, suo caro amico e primo assessore).
Eppure quest'ultimo, dopo aver rimpinguato la tesoreria, non cancellò i debiti degli abitanti del villaggio né quelli del Comune, e così tutti continuarono a rimanere immersi nei debiti. Vedendo il proprio disavanzo sul punto di essere declassato e preso alla gola dai tassi di interesse, il Comune chiese l'aiuto dei villaggi vicini, ma questi risposero che non avrebbero potuto aiutarlo in nessun modo poiché avevano vissuto la medesima disgrazia.
Su consiglio disinteressato del banchiere, tutti decisero di tagliare le spese: meno soldi per le scuole, per i servizi sociali, per le strade, per la sanità ... Venne innalzata l'età di pensionamento e licenziati tanti dipendenti pubblici, abbassarono i salari e al contempo le tasse furono aumentate. Dicevano che era inevitabile e promisero di moralizzare questo scandaloso commercio di asini.

Questa storia vi ricorda qualcosa ? ... 

Sarei grato a chi legge questa storia che facesse girare il messaggio il più possibile.
La rete ci offre la possibilità di comunicare. Non sottovalutiamo questo potere.
Segnala questo articolo ai tuoi amici.
Un momento di riflessione può essere utile a tutti.
Senza per forza entrare nelle complicazioni della finanza e dell'economia.

Un grazie a Massimo Bonoldi per l'idea e un grazie a Lorenzo de Santis per l'input.

Grazie per l'attenzione

mercoledì 19 ottobre 2011

Credit Suisse dice: L'1% della popolazione ha il 38% della ricchezza mondiale

Salve a tutti.
Volevo esordire in questo post odierno dicendo "Mettiamo a fuoco un problema importante!". Poi ripensando che in questi ultimi giorni è meglio non usare questi termini perchè pericolosi e inclini ad essere fraintesi, inizieremo dicendo:

Oggi parliamo di un dato su cui riflettere a fondo.
La società bancaria Credit Suisse, una delle più grandi e importanti del mondo ha pubblicato un suo rapporto.
Da questo rapporto si evincono alcuni dati sulla ricchezza mondiale. Tutti molto interessanti. E, per quanto siano dei dati raccolti con metodi statistici e possibili di errore o di difformità dalla realtà, da una prima analisi sembrano presentare un'immagine molto verosimile di come sono messe le cose.
In particolare mi colpiscono le seguenti informazioni:

  • Lo 0,5% della popolazione mondiale detiene il 38,5% della ricchezza mondiale.
  • L'8,7% della popolazione mondiale detiene l'82,1% della ricchezza mondiale (!!).
  • Il 32,3% della popolazione mondiale detiene il 96,6% della ricchezza mondiale (!!!!!).
Che ci fosse disparità nella distrubuzione delle ricchezza era un fatto risaputo ma riguarda e in una nuova unità di tempo questi fatti è allarmante e desolante.
Mi viene da pensare alla meteorologia e a come nascono i venti. Laddove esistono dei differenziali di temperatura fra 2 luoghi, sarà naturale che si creerà un flusso d'aria che tenderà ad equilibrare questo disequilibrio.
Ora questa disparità nella distrubuzione non è solo numerica ma è anche geografica. Perchè, stranamente, quello 0,5% della popolazione che detiene quasi la metà delle ricchezze mondiali non è equamente distribuita per il mondo e per i continenti.
Ma riguardiamo quei dati. Pensare che il 67,7% della popolazione (due terzi della popolazione) possiedano SOLO il 3,3% della ricchezza è qualcosa che lascia allibiti.
Qualcuno scrive e chiosa che è ovvio che essendoci delle naturali diversità fra le abilità degli individui, non sia possibile che il 10% delle persone abbia il 10% della ricchezza, che il 50% delle persone abbia il 50% della ricchezza e così via. Una scena in cui ci sarebbe una perfetta distribuzione della ricchezza.
Ma sebbene sia logico che una disparità sia fisiologica, pensare che queste percentuali di disparità siano normali e accettabbili non è nè logico, nè umano e nè concepibile.

Ed io personalmente, sebbene sia uno strenuo fautore che gli individui abbiamo talenti e abilità diverse e che una società equa debba tutelare queste naturali diversità, non credo neanche che lo 0,5% che possiede il 38,5% della ricchezza sia lo 0,5% più abile, più intelligente, più pratico e più industrioso del pianeta.
Non credo neppure che quel terzo delle persone che detiene praticamente TUTTA la ricchezza mondiale sia proprio il terzo della popolazione più abile.
Non lo credo.
Credo che tra le persone ricche vi siano moltissime persone abili, talentuose e geniali.
Ma questa non è una società giusta ed equilibrata. E quindi il ragionamento che i soldi vanno solo nelle mani di quelli abili, preparati e talentuosi non è minimamente valido.
Restando solo nella nostra Italia, quanti di noi, guardandosi attorno, quanti di noi hanno visto e conosciuto persone che possedevamo molta ricchezza (NOTA BENE: non che dichiaravano alti guadagni ma che possedevano ricchezza sotto forma di beni materiali e disponibilità varia) pur non avendo assolutamente alcun merito soggettivo. Qualcuno obietterà che essere capaci di fregare il prossimo o vendersi al più potente sia un'abilità in se. Qualcun altro dirà che un incapace figlio di qualcuno di ricco o potente non ha colpe per la sua immeritata ricchezza.
Sta di fatto che in una società etica, onesta e trasparente queste persone perderebbero in fretta i loro immeritati privilegi.
Quanti di noi vorrebbero vedere alla prova taluni personaggi con le difficoltà vere del lavoro e della professione? O pensate che un Amministratore Delegato che gestisce per anni 2 grandi aziende come Trenitalia e come Alitalia, andandosene con buchi di bilancio, perdita di competività e disastro aziendale generale, MERITASSE i suoi 6 (Trenitalia) + 3 (Alitalia) milioni di euro di buonauscita?
Cito un esempio a caso, particolarmente nitido per poter mettere alla prova l'assunto secondo cui chi guadagna tanto è per forza più abile di altri. 
Nel caso di Cimoli (il top executive di cui parlavamo), quanto bisognava dargli, oltre al normale stipendio di amministratore, come buonauscita nel caso in cui fosse riuscito a portare le 2 italiche aziende di trasporto alle stelle? Qualche miliardo di euro di buonauscita?

Io credo che ognuno sia (come diceva millenni fa lo scrittore latino Sallustio) "artefice della propria fortuna" ma che questo non significhi che sia giusto non dare le stesse opportunità a tutti.
Nascere e crescere in un quartiere degradato non è la stessa cosa che nascere in una famiglia che ci fornisce gli strumenti e il sostegno per imparare e fare esperienza.
Nascere in un paese povero e sottosviluppato in cui non vi è neppure l'acqua corrente non è la stessa cosa che nascere e crescere in una città dell'occidente.

Spesso si parla di finanza e di prodotti finanziarie strani e incomprensibili. La finanza esiste perchè esiste l'economia. E l'economia è la disciplina (purtroppo non è una scienza) che studia come massimizzare l'utilità dato un tot di risorse. L'economia si occupa di cose reali. Di produrre cibo, case, vestiario, automobili, infrastrutture e del consegnare servizi per migliorare la qualità della vita.
Se non torniamo a questo concetto di base, non vi sarà futuro roseo per questo pianeta.

E prima o poi un vento tempestoso si alzerà per equilibrare, come nella metereologia, i luoghi con diverso accumulo di ricchezza.
Grazie per l'attenzione.
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