Cambiare lavoro è un trauma mentale ancor prima che sostanziale.
D'altronde i cambiamenti vengono patiti più a livello mentale che altro. Non è importante come le cose sono ma come le percepiamo.
Uno dei grandi problemi che il moderno sistema economico (quasi) globalizzato ha, è proprio il meccanismo della "flessibilità" del lavoro.
Ora si possono cambiare le idee e modificare le percezioni delle persone con un uso accorto delle parole.
Chiamare "flessibilità del lavoro" il fatto di licenziare facilmente qualcuno è una trovata che da sola meriterebbe un premio.
Come direbbe l'inviato delle Iene, Lucci, in Italia un premio non si nega a nessuno!
Sta di fatto che questo meccanismo della flessibilità dovrebbe essere rivisto in un'altra ottica. Ovvero l'ottica della sopravvivenza di una specie.
Da una parte, infatti, appare insensato questo continuo richiamo alla stabilità del lavoro e questa lotta alla precarietà. Se per lotta alla precarietà intendiamo uno sforzo collettivo (di autorità pubbliche, imprese, artigiani e lavoratori dipendenti) nel rimuovere dal sistema ogni fattore possa diminuire la capacità produttiva del sistema stesso compresi (e soprattutto direi io) i comportamenti disonesti o non etici, allora tutti saliremmo su questa barca.
Ma dire semplicemente che il lavoro non debba essere precario è come sostenere una banalità. Non è un concetto definito e in quanto tale ognuno ne darà un significato di parte e quindi scorretto.
Un agente di commercio, un proprietario di un piccolo negozio, un libero professionista sono (lette in una certa ottica) delle figure precarie. Non sanno quanto lavoro produrranno, non sanno quanto guadagneranno mese per mese, non sanno se riusciranno a campare la loro famiglia. Il mese inizia e non si sa quanto si raccoglierà dopo 30 giorni. Più precario di così!!
Qualcuno ovviamente capirà che questa metafora è forzata.
L'agente, il negoziante e il libero professionista saranno precari nella misura in cui il lavoro va male.
Il problema quindi non è il fatto di sapere che si avrà uno stipendio fisso per tutta la vita in un posto di lavoro che non cambierà mai. Non è questo il punto.
Il punto è che ci si sente precari quando non ha il minimo controllo sulla propria sfera lavorativa.
Se decido di fare il collaboratore in una struttura di ricerca o l'addetto ad un call center, la precarietà è il fatto che (a differenza dell'agente, del negoziante e compagnia cantante...) subisco completamente ogni decisione dell'amministrazione in merito al futuro di quella collaborazione.
Ma stiamo fuggendo dal discorso.
Come si fa ad iniziare un nuovo lavoro?
1) La prima regola è il passaggio graduale. Ovvero è altamente consigliato evitare delle rotture brusche da un attività ad un'altra. E tanto più le 2 attività sono differenze e distanti e tanto più il passaggio deve essere graduale. Se lavoro come cameriera e decido di andare a lavorare come addetta delle pulizie, il passaggio può essere immediato. Ma se ho fatto il carpentiere e decido di andare a fare il venditore di contratti telefonici, è altamente sconsigliato chiudere con un'attività e iniziarne un'altra.
2) Il periodo di passaggio fra un lavoro e un altro ha un costo in termini di inefficienza. Nelle attività imprenditoriali si chiama "fase di start- up", in italiano avviamento. E come per un auto, i primi metri sono quelli più impegnativi per il motore a causa dell'inerzia del peso. Per superare questo periodo di passaggio, chi cambia lavoro deve mettere in conto questo costo ed avere una soluzione per esso. Ovvero avere qualche soldino che copra le necessità primarie accantonato o disponibile da qualche parte.
3) Nel cambio di lavoro sopperire alla carenza di esperienza nel nuovo lavoro con un incremento di conoscenza. Lo studio e l'esercizio possono sostituire la mancanza di esperienza diretta. Se non si è mai venduto, fare un corso sulle vendite può essere una buona soluzione. Lo studio non eguaglierà mai l'esperienza diretta. Ma c'è anche da dire che senza studio, spesso, l'esperienza diretta non porta ad una crescita. Ci sono persone che lavorano in una certa professione da anni ma anzichè migliorare con il tempo, imparano semplicemente a diventare "esperti" nel ripetere gli stessi errori. Questo perchè non si mettono mai in discussione con lo studio e l'apprendimento. Lo studio è meglio se effettuato presso contesti appositi ma anche la semplice lettura di libri specializzati nella formazione è di grande aiuto.
4) Il cambio di lavoro deve andare incontro al progresso della persona verso i suoi obiettivi nella vita. Un cambio di lavoro guidato solo dall'aumento di guadagno o da un fattore simile potrebbe essere un boomerang. La promesse di nuovi e più facili guadagni può attirare qualcuno verso mestieri nuovi o soluzioni strambe. Il cambio deve avere un senso ed essere allineato alla propria personalità fondamentale.
Si va bene tutto questo, abbastanza di buon senso. Ma pur sapendo quali errori non commettere nel cambiare lavoro, forse non stiamo rispondendo ad una domanda che potrebbe risultare fondamentale. Ovvero
Si, però come individuo un nuovo lavoro?
Il mio lavoro non mi piace, non mi dà sicurezza/soddisfazione/successo sociale. Nella mia terra/città non c'è lavoro per nessuno. Cosa mi invento? Devo emigrare?
Di questo parleremo nella terza e ultima parte dell'articolo.
Grazie per l'attenzione.